Philosophie française contemporaine

François Zourabichvili : un filosofo del divenire

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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/29-Giugno-2006/art63.html

François Zourabichvili è scomparso nello scorso mese a Parigi a 41 anni. Ha scelto di terminare la sua
vita nello stesso modo atroce in cui un altro filosofo, Gilles Deleuze, scelse di chiudere la propria
esattamente dieci anni fa. Tra Zourabichvili e Deleuze non c’è tuttavia solo la comunanza della morte,
ma anche un percorso comune. A Deleuze Zourabichvili ha dedicato con ogni probabilità gli studi più
acuti della nostra generazione: Deleuze. Una filosofia dell’evento è stato tradotto in Italia da Ombre
Corte nel 1998 e Le vocabulaire de Deleuze (Ellipses).
Di origini armene, questo giovane filosofo francese, docente all’Università «Paul Valéry» di
Montpellier, ha voluto dirci, in alcune opere essenziali e folgoranti, per intensità concettuale,
cosa vuole dire oggi essere filosofi spinozisti e deleuziani. Già molto tempo prima di addottorarsi
sotto la guida di Etienne Balibar con una tesi su Spinoza (1999), pubblicata in due volumi – Spinoza. Une
physique de la pensée (PUF, collana Philosophie d’aujourd’hui) e Le conservatisme paradoxal de
Spinoza. Enfance et royauté (Puf, collana Pratiques théoriques) – aveva colto il problema
fondamentale di Deleuze. Il problema principale della filosofia, oggi, è quello dell’immanenza:
credere a questo mondo, cioè a un mondo che assume su di sé la divergenza, l’eterogeneità,
l’«incompossibilità».
Ma la comunanza di destino tra Zourabichvili e Deleuze trovava nell’interpretazione di Spinoza una
singolare, quanto produttiva, divergenza interpretativa. Spinoza non è solo il filosofo
dell’univocità dell’essere, ma guarda all’essere come processo e come cambiamento: cambiamento
personale, che implica il passaggio dall’infanzia allo stadio adulto; cambiamento dell’uomo
ragionevole, che la filosofia conduce alla forma sovrana d’emancipazione, rappresentata dalla vita
libera; cambiamento sul piano della vita collettiva, nel momento in cui la politica conduce a
rinegoziare il legame sociale in una forma che è spesso quella della rottura e della violenza. Si tratta
dei problemi dell’educazione, della conversione e della rivoluzione.
François Zourabichvili rappresenta un’intera generazione di studiosi impegnata nella distruzione
dell’immagine che la filosofia di Spinoza ha ricevuto dalla tradizione. Non più un’algida filosofia
della necessità, (a Schelling ricordava «la rigidità della statua di Pigmalione che dovette essere
animata dal caldo soffio dell’amore»), ma una filosofia del divenire. Non più una filosofia
condannata da Hegel al fatalismo e al naturalismo cieco e crudele, ma un pensiero che contesta il cuore
stesso della dialettica: François si chiedeva se può esistere cambiamento senza che vi sia
discontinuità, cioè annullamento puro e semplice dello stato anteriore attraverso quello che gli
succede e prende il suo posto. Oppure, ed è l’opzione contenuta in Deleuze, è possibile pensare il
cambiamento senza la negazione, come un’evoluzione creatrice che esprime una dinamica vitale e rifiuta
ogni meditazione sulla morte in quanto essa non è mai il motore interno della trasformazione del reale?
Ed ecco l’importanza di Spinoza alla quale mai François rinunciò: pensare il cambiamento senza che
intervenga la negazione.
Vi sono dei momenti in cui tutto sembra precipitare. Qualcosa accade e fa sì che la vita vada in frantumi.
Maurice Blanchot ha scritto che il suicidio non è ciò che accoglie la morte, ma piuttosto ciò che
vorrebbe sopprimerla come futuro, sottrarle quella parte d’avvenire che è come la sua essenza. Nelle
nostre vite François è passato come una folgore. Ci ha indicato dove occorreva seguirlo. Poi, con un
gesto ultimo, irripetibile, ha richiuso, dietro di sé, e per sempre, quella linea, che aveva
oltrepassato, per noi. François ha smesso di parlarci, ma ha affidato alla sua opera il compito di
interrogarci da ogni parte