Média-activisme

Rekombinant is back So what?

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Torna Rekombinant sui vostri schermi con grafica farmaceutica, sottile, discreta insinuante.

Da cinque anni e mezzo il primo compito che ci poniamo è quello di ridefinire costantemente la ragion d’essere di questa concatenazione.

“Una mailing list deve continuamente chiedersi quale sia il suo senso il suo scopo e la sua visione. Forse non incontrerai mai gli altri membri della tua lista ma è bene sapere che loro esistono. Ti fa sentir meno solo. Scrivere in una mailing list significa definire il tuo stormo. Significa che tu riconosci alcuni altri gabbiani coi quali gridare insieme online.” (Aleksander Gubas)
la rete come potenza e come potere

Rekombinant nacque nell’estate del 2000 come una mailing list di riflessione collettiva sul tema della duplice prospettiva della rete: la rete come potenza e la rete come potere.
Potenza: apertura, moltiplicazione di possibilità.
Potere: strutturazione di modelli, limitazione di possibilità.
Negli anni ’90 si vantavano le magnifiche sorti dell’economia nuova che emergeva dallo sviluppo delle tecnologie di rete. Internet era concepito come lo strumento della nuova economia, ma anche come lo strumento di una nuova democrazia elettronica.

Rekombinant nacque dall’idea che Internet non è uno strumento ma una sfera.
Si poneva in quegli anni con molta forza il problema della creazione di una sfera pubblica.
Due decenni di politiche liberiste avevano cancellato l’esistenza di una sfera pubblica autonoma. La sola sfera pubblica era quella della televisione e dell’Advertising, la sfera di circolazione del messaggio legato alla merce. La rivolta di Seattle, alla vigilia del nuovo millennio, aprì una nuova storia: un movimento composto soprattutto da operatori della comunicazione, della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica fece la sua comparsa sulla scena e ruppe l’incantesimo che garantiva un consenso quasi unanime alla politica neoliberista. Il movimento noglobal fu nei suoi effetti immediati un processo di critica di massa del dogma liberista, ma fu anche l’inizio di un processo di lungo periodo di organizzazione autonoma del lavoro cognitivo. Si stava creando nel mondo una nuova sfera pubblica estranea alla dittatura economica capitalista, e rivolta all’organizzazione autonoma dei circuiti di produzione del sapere, della comunicazione e della tecnologia.
La rete era potenza, intelligenza collettiva e comunità affettiva, sociale, politica, condizione di un arricchimento dei lavoratori cognitivi. La dotcommania era il segnale di un’alleanza tra capitale finanziario e lavoro cognitivo.

Al tempo stesso occorreva analizzare il funzionamento della rete come potere, la creazione di agenzie di controllo, automatismi tecno-linguistici, e la proiezione biopolitica della rete nel corpo vivo della società. Le strategie di comando costruite dalle corporation (del software, della telefonia, della televisione) tentavano di trasformare il mediascape in una gabbia epistemica e immaginaria.
Tecnologia e psicochimica, Infosfera e Psicosfera si intrecciano e si influenzano.
L’accelerazione ingenera patologie.

Una lista nel movimento

Lanciammo la lista Rekombinant alla fine del luglio 2000, per elaborare due esperienze che in quell’anno giungevano a maturazione: la net culture fiorita negli anni novanta e il movimento globale anticorps che aveva preso forma alla fine del decennio. All’inizio dell’estate del 2000 a Bologna c’era stata una mobilitazione che per la prima volta in Italia aveva portato in piazza i temi della lotta internazionale contro la violenza economica del neoliberismo. Il centrosinistra era allora al governo, ma già si annunciava la sua sconfitta. Aveva governato indegnamente, gettando il seme della precarizzazione che ha poi devastato il mercato del lavoro nell’Italia degli anni successivi.

Nel settembre del 2000 si tenne un convegno Rekombinant: al centro dell’attenzione era il collasso della new economy, e la rottura di quell’alleanza tra capitale finanziario e lavoro cognitivo che aveva caratterizzato il decennio ’90. Quello che nel ventesimo secolo si era chiamato lotta di classe si presentava ora in una forma nuova, come lotta tra potenzialità dell’intelligenza collettiva e interessi dell’economia di profitto. Il capitalismo globale, uscito da una lunga fase di espansione si trovava nuovamente a dover affrontare i limiti della sua crescita: la scarsità delle energie non rinnovabili, la crisi dell’istituto della proprietà privata, sempre meno difendibile ideologicamente, e sempre meno necessaria socialmente dato che le tecnologie ricombinanti e il consumo di merci immateriali la rendevano superflua dal punto di vista evolutivo. L’intelligenza collettiva cominciava a organizzarsi in forma di movimento politico e di rete produttiva.

La società si andava trasformando secondo le tendenze del semiocapitale, di conseguenza la costruzione di una comunità semiotica coincideva con un processo di autorganizzazione sociale. La nostra era azione poetica, e al tempo stesso azione di ricombinazione tecnosociale. Sapevamo che la partita della produzione del potere e della libertà si giocava nella sfera del linguaggio .

L’autonomia sociale non aveva più nulla a che fare con le lotte comuniste del secolo operaio. La rete del lavoro cognitivo era il nuovo attore e l’organizzazione del sapere era il nuovo campo di battaglia.

Le forze più aggressive e ignoranti della società americana portarono alla presidenza un petroliere guerrafondaio. Le forze più egoiste e ottuse della società italiana portarono al governo nel 2001 una coalizione di speculatori, di mafiosi, di razzisti. Si stava preparando una tempesta destinata a diffondere la peste della guerra destinata a riportare le energie del sapere e della tecnologia sotto il dominio del capitale a cui stavano sfuggendo.

Nel primo anno di vita la lista partecipò alla discussione politica, culturale e teorica che si intrecciava con l’espansione del movimento che in quei mesi preparava la mobilitazione di massa contro il vertice della dittatura mondiale liberista.
La rete del lavoro cognitivo creava le premesse di una globalizzazione alternativa, fondata sul sapere e non sul profitto. Rekombinant concentrò l’attenzione sull’autorganizzazione del lavoro cognitivo, sulle potenzialità produttive della tecnologie di rete, sulla ricchezza affettiva e intellettuale che costituiva il patrimonio del movimento emergente.

Nel 2001 si preparava il vertice G8 di Genova.
Otto criminali si riunivano a Palazzo Ducale in rappresentanza degli interessi delle corporation globali. Trecentomila in rappresentanza dell’umanità intera li circondavano occupando gran parte della città. L’esperienza NOG8 di Genova luglio 2001 segnò una generazione. La violenza organizzata dalla polizia, l’assalto militare contro un centro stampa e contro una radio, la tortura in una caserma dei carabinieri, l’omicidio di un ragazzo. Genova annunciava l’inizio dell’epoca della guerra: per mantenere il suo potere, il ceto dominante alimenta l’odio, la violenza e la distruzione. In quell’estate infernale si compì il passaggio dall’epoca della globalizzazione all’epoca della guerra.

Il 9 e il 10 settembre del 2001 ci riunimmo in un secondo convegno. L’attenzione ricombinante si concentrò sulla prospettiva di devastazione militare e sulla rottamazione del general intellect
Un intervento di Christian Marazzi al convegno Rekombinant del 10 settembre 2001 (il giorno prima dell’esplosione WTC) prevedeva il pericolo di una rottamazione del general intellect, cioè di una distruzione delle potenzialità del lavoro cognitivo in rete.
Dopo il collasso della new economy si andava preparando l’economia di guerra, e questo significava tra le altre cose, anche un attacco politico contro il lavoro cognitivo, la sottomissione della ricerca e della comunicazione all’ossessione securitaria e all’aggressione militare. La potenza del general intellect veniva così sottomessa al potere militare ed economico.

l’epoca delle passioni tristi

Iniziava l’epoca delle passioni tristi:. La sofferenza psichica, le patologie dell’immaginario cominciavano ad apparirci non un oggetto marginale, ma il nodo centrale del campo sociale. Erano giorni carichi di tensione, era come se nell’aria si sentisse il prepararsi di un’esplosione. E l’esplosione arrivò. Da allora l’asse della riflessione, della discussione, dell’azione politica si è spostato. La psicopatologia dell’identità ha preso il posto della lotta sociale per una nuova razionalità produttiva. Nei giorni seguiti a Seattle si erano di nuovo create le condizioni per una battaglia pacifica tra modelli contrastanti di produzione e di sapere. Per costringere gli uomini e le donne a subire ancora una violenza inutile, il potere ha ripreso in mano gli antichi arnesi del fanatismo religioso, dell’idiozia etnica e nazionale.

Richiamata in servizio dal ventre oscuro della storia del Novecento la bestia immonda si è rimessa in marcia. Porta la mezzaluna islamica al posto del fascio, porta stelle e striscie al posto della svastica, ma ha sempre la stessa funzione: imporre la legge cieca dell’identità. “Difendere lo stile di vita occidentale” era lo slogan del nuovo totalitarismo. La profezia della guerra infinita pronunciata da un petroliere si è naturalmente realizzata. Militarismo high tech dell’Occidente e integralismo islamico assassino si rinforzano a vicenda mentre devastano la vita degli uomini e delle donne, distruggono le città, avvelenano le menti, diffondono il terrore.

Fin dall’estate 2000, la lista Rekombinant aveva intravisto due direttrici possibili all’orizzonte del nostro tempo: quella dell’autorganizzazione del sapere o quella della psicopatia suicidaria. Nell’estate 2001 la seconda prende il sopravvento sulla prima. Il sapere tecnico più raffinato sottoposto al comando dell’aggressività psicotica e dell’interesse economico privato di breve periodo.
A quel punto il suicidio emerse per la prima volta come arma strategica. Non solo come un’esclusiva islamica. Il suicidio diviene comportamento di massa anche in Occidente, perché la prima generazione videoelettronica percepisce il futuro come un abisso oscuro, e il presente come un deserto affettivo. Proliferano gli strumenti di comunicazione, ma non c’è molto da comunicare. Magari qualche volta, come accade in Giappone, il luogo e l’ora in cui morire insieme.

La guerra è dappertutto. Quel che non avremmo mai pensato possibile è diventato inevitabile, irreversibile. Dio, il boia, è tornato tra noi. La ragione si è ri-addormentata. I mostri sguinzagliati invadono le strade.

Mediattivismo e immediatezza

Rekombinant era nata per portare un nuovo metodo nella politica dei movimenti di liberazione dal capitalismo. Ma i movimenti di liberazione sono costretti a un lungo purgatorio. Non c’è spazio per pensare alla liberazione quando vien meno la ragionevolezza e la sicurezza diviene l’unico discorso. Perciò lo spazio ricombinante ha cambiato tonalità negli ultimi tempi. Il tono è divenuto cupo, talvolta malinconico. La dissoluzione della sfera pubblica che il movimento noglobal aveva provvisoriamente creato è il margine oscuro della comunicazione di lista, il vuoto di socialità e di erotismo che possiamo soltanto constatare, senza poterne uscire.

La pornografia la tortura il collasso psichico hanno preso il posto dominante nella riflessione del nostro tempo.
Mediatizzazione e guerra, insieme, hanno prodotto un effetto di de-sensibilizzazione del corpo sociale. Patologie della percezione collettiva si diffondono.
“Warporn war punk” apparso sul sito di Rekombinanto nel 2004 è la riflessione più significativa su questo passaggio. http://www.rekombinant.org/old/article.html.sid=2386

Il problema che si pone all’orizzonte, mentre la prima generazione videoelettronica emerge sulla scena storica, non è quello della gestione democratica della comunicazione mediatizzata, ma quello di riconquistare la dimensione della immediatezza, della corporeità collettiva.
Nel decennio passato, la netart ha posto essenzialmente questo problema.
Net art è arte della concatenazione (agencement) in contesti connettivi, tentativo di ritrovare una dimensione emozionale nel. passaggio dal regime della congiunzione al regime della connessione.

La lista non ha smesso di crescere in questi cinque anni. Si tratta una piccola comunità: poco più di mille persone sparse qua e là nei cinque continenti con una vocazione in comune: quella di costruire un percorso verso il possibile attraverso la ricombinazione dei segni del sapere, dell’immaginario, e della psicosfera.
Talvolta sopravviene lo scoramento, la sensazione che non serve a niente perseguire un disegno di razionalità e di desiderio dal momento che il discorso pubblico è dominato dalla violenza e dalla legge del più forte, dalla difesa arrogante di un modo di vita canagliesco.
Per il futuro prevedibile non è in vista un mutamento dello scenario, e allora ci si potrebbe chiedere: perché continuare un percorso comune fondato su una prospettiva di liberazione oggi che ogni prospettiva di liberazione appare del tutto cancellata?

continuiamo a tessere parole

La risposta la conosciamo: continuiamo a tessere parole prima di tutto per mantenere viva l’intelligenza del processo e in secondo luogo perché non scompaiano spazi di autonomia discorsiva, immaginaria, poetica, esistenziale. Autonomia dall’intollerabile.
Ma non rinunceremo a capire, a cercare un senso laddove sembra non esservene alcuno, a creare parole e costruire concetti. Perché le parole permettono talvolta di rendere visibile ciò che fino a un momento prima non si vedeva.
Costi quello che costi non rinunceremo a mantenere in vita spazi di parola, spazi di desiderio intelligente, spazi di ironia, spazi di ammiccamento fra persone umane.