Compléments de Multitudes 18

Gli angeli e il general intellect

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L’individuazione in Duns Scoto e Gilbert Simondon Ce texte est la version originale italienne de
art1572, publié dans rub500
Oggi, chi voglia afferrare il proprio tempo con il pensiero (anziché perdere tempo in pensieri squisiti o roboanti, comunque innocui), deve soffermarsi a lungo sul rapporto che intercorre tra ciò che è massimamente comune e ciò che è massimamente singolare. Questo locutore particolare, i cui enunciati hanno suscitato la nostra approvazione o la nostra stizza nell’ultima assemblea degli intermittenti dello spettacolo, differisce da tutti coloro che hanno preso la parola prima e dopo di lui. Ma differisce dagli altri locutori, costituendo un ente singolare, proprio e soltanto perché condivide con essi una “natura comune”, ossia la facoltà di linguaggio. La capacità di articolare suoni significanti, requisito biologico della specie Homo sapiens, non può manifestarsi altrimenti che individuandosi in una pluralità di parlanti; ma, all’inverso, tale pluralità di individui sarebbe inconcepibile senza la preliminare partecipazione di ciascuno e di tutti a quella realtà preindividuale che è, per l’appunto, la capacità di articolare suoni significanti. Se l’esempio linguistico dovesse ripugnare, perché troppo “naturalistico”, al palato bergsoniano di larga parte della filosofia post-strutturalista, si pensi pure, in alternativa, alla condizione dei migranti o alla duttile inventività richiesta al lavoro intellettuale di massa. Si tratta, in entrambi i casi (mobilità e forza-invenzione), di realtà preindividuali storicamente determinate, che, però, offrono il destro a uno straordinario processo di diversificazione dell’esperienza e della prassi. E viceversa: individuati in tutta la loro ecceità, questo migrante e questo lavoratore intellettuale non cessano di attestare, tuttavia, l’esistenza di uno sfondo indifferenziato. Lungi dall’elidersi, il Comune e il Singolare rimandano l’uno all’altro in una sorta di circolo virtuoso.
Tutto sta nel comprendere in che cosa consiste, di preciso, questo reciproco rimando. E’ qui che le bussole impazziscono e i sentieri si biforcano. Il Comune è forse il risultato di un’astrazione mentale, che isoli e condensi certi tratti presenti in molti individui? O, viceversa, esso è qualcosa di realissimo in sé e per sé, indipendente dalle nostre rappresentazioni? E poi e soprattutto: il singolo locutore è distinto dai suoi simili perché, accanto alla comune facoltà di linguaggio, fa valere caratteristiche ulteriori, esse sì uniche e irripetibili (per esempio, un desiderio o una passione)? Oppure, al contrario, quel locutore è distinto dai suoi simili già solo perché rappresenta una modulazione peculiare della comune facoltà di linguaggio? L’individuazione avviene in virtù di qualcosa che si addiziona al Comune o ha luogo in seno a quest’ultimo? Ecco alcuni dei dilemmi che attanagliano, oggi più che mai, la discussione sul principium individuationis. E’ quasi superfluo osservare che la posta in palio, in questa discussione, è a un tempo logica, metafisica, politica. Logica: per pensare adeguatamente la “natura comune” (o preindividuale) da cui discende l’individuo individuato, occorre rinunciare, forse, al principio di identità e a quello del terzo escluso. Metafisica: alla luce del nesso Comune-Singolare, è lecito postulare l’esistenza di una intersoggettività preliminare, anteriore alla stessa formazione di soggetti distinti; la mente umana, a differenza di quanto suggerisce il solipsismo metodologico delle scienze cognitive, è originariamente pubblica o collettiva. Politica: dal modo di intendere il processo di individuazione dipende in larga misura la consistenza del concetto di “moltitudine”. Quest’ultima è una rete di singolarità che, invece di convergere nell’unità posticcia dello Stato, perdurano come tali proprio perché fanno valere sempre di nuovo, nelle forme di vita e nello spaziotempo della produzione sociale, la realtà preindividuale che hanno alle spalle, ossia il Comune da cui derivano.
Sono due, a mia conoscenza, i pensatori che, prediligendo il tema dell’individuazione, hanno finito con l’occuparsi soprattutto della “natura comune”, dei suoi caratteri e del suo statuto: Duns Scoto e Gilbert Simondon. In questa loro deriva – cercando le Indie, ci si imbatte nelle Americhe – vi è una sorta di istruttiva necessità. Per giustificare l’accostamento, basterebbe dire: entrambi i filosofi hanno polemizzato con il modo consueto di intendere il principium individuationis, e soprattutto con la sua riduzione a questione circoscritta, priva di vere conseguenze sull’ontologia generale. E si potrebbe aggiungere: la riflessione di Simondon sulla “realtà preindividuale”, al pari di ogni movimento del pensiero che determini una situazione inedita, consente di leggere altrimenti certi autori del passato, ovvero crea i propri predecessori. Tuttavia, se ci si limitasse a questo, si tratterebbe solo di un gioco erudito: e a me, lo confesso, manca sia la voglia di giocare che l’erudizione. Rilevare alcune decisive assonanze tra le tesi di Simondon e quelle di Scoto è piuttosto un tentativo di mettere a fuoco un modello teorico – né strettamente “simondoniano” né strettamente “scotiano” – per decifrare il rapporto Comune-Singolare e, quindi, il modo di essere della moltitudine contemporanea.
Questi appunti (altro non sono, in verità) concernono i seguenti temi. 1) La critica che Scoto e Simondon rivolgono a quanti reputano che la coppia materia-forma, ossia l’ilomorfismo, possa rendere ragione del processo di individuazione. 2) Lo scarto che separa la nozione di “universale” da quella di “comune”, e la conseguente esigenza di precisare lo statuto ontologico e logico del “comune” senza utilizzare di soppiatto categorie correlate all’“universale”. 3) Il rapporto paradossale, perché a un tempo aggiuntivo e difettivo, che l’individuo individuato intrattiene con la “natura comune”. 4) La questione angelica (gli angeli sono o no individui?), che ha garantito a Scoto una fama folcloristica nei manuali del liceo, riesaminata alla luce del concetti simondoniani di “transindividualità” e “individuazione collettiva”. Limito al minimo le fonti bibliografiche. Per quel che riguarda Simondon, utilizzo, qui, L’individuation psychique et collective (Aubier, Paris 1989), e la monografia di Muriel Combes, Simondon. Individu et collectivité (Puf, Paris 1999). Di Duns Scoto tengo presente, qui, soltanto la Ordinatio II, distinzione 3, parte prima, tradotta in francese da Gérard Sondag col titolo Le principe d’individuation (Vrin, Paris 1992). Sondag è anche autore di un ammirevole saggio introduttivo cui non mancherò di ricorrere.

1. Miseria dell’ilomorfismo
Benché talvolta non possano evitare di utilizzarla, sia Duns Scoto che Gilbert Simondon manifestano la più viva diffidenza nei confronti dell’espressione “principio di individuazione”. Essa è ingannevole, a loro giudizio, perché lascia credere che l’individuazione sia dovuta a un fattore particolare (il fatidico “principio”, appunto), isolabile ed estrapolabile in quanto tale. Ma così non è.
Scoto dedica gran parte della Ordinatio II, 3, 1 a vagliare, e poi a scartare l’uno dopo l’altro, i possibili candidati al rango di “principio”: quantità, qualità, spazio, tempo ecc. Inutile cercare un aspetto della realtà capace, di per sé, di garantire la singolarità di un ente. Tutti gli aspetti della realtà, compresi gli accidenti più labili e casuali, sono ancora comuni: ciascuno di essi è passibile di individuazione, nessuno di essi può produrla. E’ del tutto illusorio supporre, per esempio, che la singolarità derivi dall’esistenza o dall’indivisibilità: ciò che esiste (o risulta indivisibile) è un essere singolare, ma non è certo l’esistenza (o l’indivisibilità) a far di esso il singolo che è.
Per Simondon (1989, p. 11), “ce qui est un postulat dans la recherche du principe d’individuation, c’est que l’individuation ait un principe”. L’errore capitale di questo postulato consiste nell’assegnare all’individuo costituito un primato ontologico, procedendo poi a ritroso alla ricerca del suo preteso elemento germinale. In tal modo, anziché spiegare l’individuo a partire dal Comune, si spiega il Comune a partire dall’individuo. Per correggere questa tendenza fallace, è necessario porre al centro dell’indagine l’essere preindividuale, privo di unità numerica e, quindi, mai riducibile a un elemento definito: “l’individu serait alors saisi comme une réalité relative, une certaine phase de l’etre qui suppose comme elle une réalité préindividuelle, et qui, meme après l’individuation n’existe pas toute seule, car l’individuation n’épuise pas d’un seul coup les potentiels de la réalité préindividuelle” (ivi, p. 12).
Criticare l’idea che l’individuazione abbia un “principio” significa regolare i conti con la coppia materia/forma. Soprattutto a essa, infatti, è stato imputato l’onere di trasformare una natura comune in un ente singolare (l’“umanità” in “questo uomo”, per esempio). Per Simondon, l’ilomorfismo è una rete dalle maglie troppo larghe: indica tutt’al più certe condizioni di sfondo dell’individuazione, senza però fornire alcuna delucidazione sull’operazione in cui essa consiste: “on n’assiste pas à l’ontogénèse parce qu’on se place toujours avant cette prise de forme qui est l’ontogénèse; le principe d’individuation n’est pas donc saisi dans l’individuation meme comme opération, mais dans ce dont cette opération a besoin pour pouvoir exister, à savoir une matière et une forme” (ivi, p. 11). Per Scoto, né la materia né la forma e neanche il loro composto individuano, costituendo piuttosto l’ambito in cui l’individuazione deve compiersi. “L’entité individuelle n’est ni forme ni matière ni composition en tant que chacune de celles-ci est une nature [commune. Elle est la réalité ultime de l’etre qui est matière, ou qui est forme, ou qui est composition, de sorte que tout ce qui est commun et cependant déterminable peut toujours etre distingué” (Ordinatio II, 3, § 188; trad. fr. p. 176).
Scoto si propone di confutare, in particolare, la tesi aristotelico-tomista secondo la quale alla sola materia spetterebbe il compito di individuare, mentre alla forma sarebbe riservato il monopolio esclusivo della “natura comune”. La confutazione ha luogo mediante un celebre esperimento mentale: gli angeli, per definizione sprovvisti di un corpo materiale, sono essi pure singolarità distinte, o coincidono senza residui con la specie? Scoto ci rammenta anzitutto che, contrariamente a quanto sostengono i suoi denigratori, anche la materia è comune, ossia ha una “quidditas”: sicché, la sua presenza non assicura l’individuazione e la sua mancanza non la pregiudica. In secondo luogo, egli osserva che la forma, al pari di ogni altra “natura comune”, è soggetta già di per sé, senza bisogno di interventi estrinseci, a quel processo di attualizzazione che dà luogo a una pluralità di individui inconfondibili: “J’affirme donc qu’en fonction de la réalité par laquelle elle est une nature, toute nature [… est potentielle par rapport à la réalité par laquelle elle est ‘cette nature’ e que, par suite, elle peut etre ‘celle-ci’” (ivi, § 237; trad. fr. p. 196). La moltitudine angelica è una moltitudine di individui individuati: ciascuno di essi è una “determinazione ultima” del Comune, nessuno di essi lo racchiude in sé per intero.
L’esperimento mentale di Scoto (equiparabile forse, in termini simondoniani, alla difesa di una “individuazione psichica” ulteriore e peculiare rispetto a quella “fisica”) può essere riformulato con la più grande serietà in riferimento alla situazione contemporanea. Il lavoro vivo postfordista ha per materia prima e strumento di produzione il pensiero verbale, la capacità di apprendere e comunicare, l’immaginazione, insomma le facoltà distintive della mente umana. Il lavoro vivo incarna, dunque, il general intellect o “cervello sociale” di cui ha parlato Marx come del “principale pilastro della produzione e della ricchezza”. Il general intellect non coincide più, oggi, con il capitale fisso, ossia con il sapere rappreso nel sistema di macchine, ma fa tutt’uno con la cooperazione linguistica di una moltitudine di soggetti viventi. Tutto questo è ormai abbastanza ovvio. Meno ovvio, ma legittimo, è far echeggiare proprio qui il quesito scotiano: i lavoratori cognitivi, condividendo quella “natura comune” che è il general intellect, sono dei singoli assolutamente distinti, o, per quel che riguarda il loro essere “cognitivi” e “immateriali”, non v’è differenza tra specie e individuo? Alcuni sostengono che la moltitudine postfordista è costituita da individui irripetibili proprio e soltanto perché ciascuno di essi dispone di un corpo materiale. Così, però, si resta fin troppo fedeli al criterio propugnato da Tommaso d’Aquino nel De ente et essentia: la materia come unico principium individuationis. Una soluzione del genere è piena di inconvenienti. Si assume, infatti, che il Comune si collochi agli antipodi della individuazione, anziché esserne il terreno propizio. I lavoratori cognitivi non sarebbero singoli in quanto cognitivi, ma oltre e indipendentemente da questo fatto. Sicché, a rigor di termini, non vi sarebbero molti lavoratori cognitivi, ma un solo lavoratore cognitivo/specie, esemplificato da numerosi enti tra loro identici. Vi sono ottimi motivi, logici e politici, per ipotizzare invece “qu’il est parfaitement possible qu’il y ait une pluralité d’anges dans la meme espèce” (ivi, § 227; trad. fr. p. 193), ossia che è perfettamente possibile che la “natura comune” – nel nostro caso: l’essere tutti espressioni del general intellect – abbia la sua “attualità ultima” in una moltitudine di singolarità distinte.

2. L’opposizione di Comune e Universale
Chi voglia pensare sul serio il Singolare deve mettere le tende presso il Comune: quel Comune che Scoto chiama “natura” e Simondon “preindividuale”. L’individualità in quanto tale è una categoria generalissima e indeterminata, l’esatto contrario dell’individuazione. Se si considerano due individui senza far riferimento al Comune, si è costretti a concludere che sono entrambi un ‘uno’, un ‘questo’, un ‘io’: ovvero che sono indistinguibili, proprio come i cittadini che vanno a votare. Al di fuori del Comune, vi è identità, non singolarità. L’identità è riflessiva (A è A) e solipsistica (A è irrelato a B): ogni ente è e resta se stesso, senza intrattenere rapporti di sorta con qualsiasi altro ente. Tutt’al contrario, la singolarità scaturisce dalla preliminare condivisione di una realtà preindividuale: X e Y sono individui individuati soltanto perché configurano diversamente ciò che hanno in comune.
Per comprendere l’intima giuntura tra Singolare e Comune, occorre però rilevare lo iato che divide il Comune dall’Universale. L’inclinazione a utilizzare i due termini come sinonimi quasi equivalenti fa sì che la partita dell’individuazione sia persa prima ancora di cominciare. Il Comune si contrappone all’Universale tanto dal punto di vista logico, quanto da quello ontologico. Precisare con cura questo duplice discrimine è, forse, un compito eminente della filosofia prossima ventura (nonché il punto di onore dei movimenti politici più radicali del presente). Mi limito, qui, ad annotare stenograficamente gli argomenti di Scoto e di Simondon che sembrano giustificare l’inferenza a prima vista bizzarra “se Comune, allora non Universale”. In luogo del rapporto di inclusione nell’Universale dell’individuo già costituito, i due autori mettono l’accento sul rapporto di preliminare appartenenza al Comune dell’individuo in via di individuazione.
Per Scoto, il Comune è “inférieur à l’unité numerique” (Ordinatio II, 3, § 8; trad. fr. p. 89); per Simondon, “l’etre préindividuel est un etre qui est plus qu’une unité” (Simondon 1989, p. 13). Ora, solo ciò che esula dall’unità numerica “est compatible sans contradiction avec la multiplicité” (Ordinatio II, 3, § 9; trad. fr. p. 90); solo esso, dice Scoto, è condivisibile e comunicabile, ossia “peut se trouver chez un autre sujet que celui chez qui il se trouve” (ibid.). Muriel Combes osserva che, per Simondon, “c’est seulement en fonction d’un etre préindividuel compris comme ‘plus qu’un’, c’est-à-dire comme système métastable chargé de potentiels, qu’il devient donc possible de penser la formation d’etres individués” (Combes 1999, p. 13). Si noti il plurale: “etres individués”. Se non fosse “plus qu’un”, il Comune non potrebbe inerire simultaneamente a molti individui: ma poiché non è concepibile l’individuazione di un individuo solo (come distinguere, in tal caso, il singolo esemplare dalla specie?), non vi sarebbe affatto un processo di individuazione e neanche, a rigore, qualcosa di comune. E’ questo il primo, fondamentale punto di divergenza rispetto all’Universale: quest’ultimo, infatti, è sempre dotato di unità numerica. O meglio: l’Universale è il modo in cui la mente assegna surrettiziamente una unità numerica al Comune. I concetti ‘bello’, ‘intelligente’, ‘uomo’ etc. immettono il preindividuale nell’ambito della realtà individuata. I predicati universali non dànno conto della “natura comune” che precede e rende possibile l’individuazione, ma si limitano ad astrarre certe caratteristiche che ricorrono uniformemente negli enti già individuati.
Il Comune è una realtà indipendente dall’intelletto: esiste anche quando non è rappresentato. L’Universale, invece, è un prodotto del pensiero verbale, un ens rationis la cui unica dimora è l’intelletto. Scoto: “J’affirme encore que [… il y a dans les choses, indépendamment de toute opération de l’intellect, une unité qui est inférieure à l’unité numérique, c’est-à-dire l’unité propre au singulier, et qui est néanmoins réelle; cette ‘unité’ est l’unité propre à une nature [commune” (Ordinatio II, 3, § 30; trad. fr. p. 98). Allo stesso modo, per Simondon, il “preindividuale”, lungi dall’essere una costruzione mentale, è la realtà da cui la stessa mente discende e dipende: “l’individu a conscience de ce fait d’etre lié à une réalité qui est en sus de lui-meme comme etre individué” (Simondon 1989, p. 194).
Sotto il profilo gnoseologico, si dovrebbe parlare dunque di un realismo del Comune e di un nominalismo dell’Universale. Il Comune, inferiore all’unità numerica, è presente in sé e per sé in una molteplicità di soggetti singolari. L’Universale, sussistendo soltanto nell’intelletto, non è invece reperibile presso l’uno o l’altro dei soggetti singolari cui può essere attribuito. Il Comune – per esempio, la “natura umana” o il general intellect – non è un predicato degli individui Giacomo, Luisa etc., ma ciò da cui procede la stessa individuazione di Giacomo, Luisa etc. in quanto enti distinti ai quali converranno, poi, i più diversi predicati. Viceversa, l’universale – per esempio, il concetto di ‘uomo’ o quello di ‘intelligenza’ – è un predicato che si addice a individui già individuati, senza però godere di una realtà sua propria presso nessuno di essi. Il Comune è in re, l’Universale de re. O, come scrive lapidariamente Sondag nel suo commento a Scoto, “une nature [commune est individuable et non-prédicable, un concept est prédicable et non-individuable” (Sondag 1992, p. 36). E’ il realismo del Comune che spinge Simondon a ipotizzare provocatoriamente una “ontologie précritique”: vale a dire una ontologia che, considerando le stesse categorie trascendentali kantiane un risultato tardivo del processo di individuazione, valorizzi l’esistenza effettiva di una realtà preindividuale (e antepredicativa). “Il faut intégrer au domaine de l’examen philosophique l’ontogénèse, au lieu de considérer l’etre individué comme absolument premier. Cette integration permettrait [… aussi de refuser une classification des etres en genres qui ne correspond pas à leur génèse, mais à une connaissance prise après la génèse” (Simondon 1989, p. 206). Il Comune, al cui interno non è dato ancora distinguere tra soggetti e predicati, è, per così dire, la condizione di possibilità extramentale delle categorie apriori di cui si giova la mente.
Poiché è predicabile e dotato di unità numerica, l’Universale è sottoposto ai principi di identità e del terzo escluso: Giovanni è uomo o non-uomo, altra possibilità non si dà. In quanto manca di unità numerica e non è predicabile, il Comune non soggiace al principio di identità e a quello del terzo escluso: la “natura umana” è e non è l’individuo individuato Giovanni; il general intellect è e non è un certo singolo lavoratore cognitivo. Scrive Scoto: “s’il est vrai que la nature de x, qui est réellement présente chez x, peut très bien etre présente chez un autre singulier, on ne peut véritablement pas dire que ‘x est la nature de x’” (Ordinatio II, 3, § 37; trad. fr. p. 102). E Simondon: “Pour penser l’individuation, il faut considérer l’etre non pas comme substance, ou matière, ou forme, mais comme système tendu, sursaturé, au-dessus du niveau de l’unité, ne consistant pas seulement en lui-meme, et ne pouvant pas etre adéquatement pensé au moyen du principe di tiers exclu; l’etre concret, ou etre complet, c’est-à-dire l’etre préindividuel, est un etre qui est plus qu’une unité. L’unité, caractéristique de l’etre individué, et l’identité, autorisant l’usage du principe du tiers exclu, ne s’appliquent pas à l’etre préindividuel […; l’unité et l’identité ne s’appliquent qu’à une des phases de l’etre, postérieure à l’opération d’individuation” (Simondon 1989, pp. 13-14).
L’eterogeneità logica e ontologica che separa il Comune dall’Universale si presenta, oggi, come alternativa politica tra Moltitudine e Stato. I singoli che compongono la moltitudine postfordista esibiscono una “natura comune” quale proprio reale (e inseparabile) presupposto: esibiscono per intero, dunque, il processo di individuazione di cui sono l’esito estremo. Che lo si chiami general intellect o cooperazione linguistica, questo presupposto comune è sul punto di erompere in primo piano come inedito principio costituzionale, soviet del lavoro cognitivo, democrazia non-rappresentativa. Lo Stato, che alla moltitudine si contrappone, non fa che trasporre il Comune in un insieme di requisiti universali, di cui solo esso è il legittimo detentore. Lo Stato postfordista assicura una sorta di posticcia realtà politico-militare a quell’ens rationis che l’Universale, come tale, è. La democrazia rappresentativa e gli apparati amministrativi operano la sostituzione sistematica del Comune, individuabile ma non-predicabile, con l’Universale, predicabile ma non-individuabile.

3. L’individuazione: surplus e deficit
La differenza tra Comune e Singolare può essere paragonata a buon diritto alla differenza tra potenza e atto. Scrive Scoto: “la réalité de l’individu est, pour ainsi dire, un acte qui détermine la réalité de l’espèce, laquelle est, pour ainsi dire, possible et potentielle” (Ordinatio II, 3, § 180; trad. fr. p. 172). Il Singolare non si distingue dal Comune per il possesso di qualche qualità supplementare, ma perché determina in una guisa contingente e irripetibile tutte le qualità già comprese in quello. Il Singolare è la “realtà ultima” del Comune, così come l’atto è la realtà ultima della potenza. L’analogia tra la coppia potenza/atto e la coppia preindividuale/individuo affiora spesso anche in Simondon: “On pourrait nommer nature cette réalité pré-individuelle que l’individu porte avec lui, en cherchant à retrouver dans le mot de nature la signification que le philosophes présocratiques y mettaient: [… la nature est réalité du possible, sous les espèces de cet apeiron dont Anaximandre fait sortir toute forme individuée” (Simondon 1989, p. 196). E Muriel Combes precisa: “Avant toute individuation, l’etre peut etre compris comme un système qui contient une énergie potentielle. Bien qu’existant en acte au sein du système, cette énergie est dite potentielle car elle nécessite pour se structurer, c’est-à-dire pour s’actualiser selon des structures, une transformation du système” (Combes 1999, p. 11). Non dipendendo da alcun fattore o “principio” particolare, l’individuazione è, sia in Scoto che Simondon, una individuazione modale: consiste unicamente, cioè, nel passaggio da un modo di essere a un altro.
L’accezione modale di individuazione, in base alla quale il Comune è Singolarità-in-potenza e la Singolarità è Comune-in-atto, rende plausibili due asserzioni che, a prima vista, potrebbero sembrare stridenti o addirittura contraddittorie. Eccole: (a) l’individuo aggiunge qualcosa di positivo alla natura comune; (b) l’individuo non esaurisce in sé la perfezione della natura comune. Se prese assieme, le due asserzioni dicono: un individuo è, al tempo stesso, più e meno della specie (mentre non è mai equiparabile a essa). Com’è possibile una eccedenza che, per altro verso, costituisce una deficienza? L’apparente incompatibilità delle due asserzioni viene meno non appena si consideri che il “più” e il “meno” hanno una sola e identica radice: il Singolare come atto. L’individuo aggiunge alla “natura comune” (general intellect, facoltà di linguaggio, mobilità dei migranti etc.) il modo d’essere della “attualità ultima”. Questo modo d’essere, a differenza della forma o della materia, si manifesta soltanto in una singolarità distinta: sicché bisogna concludere che “questo uomo” contingente è più della “natura umana”. Ma il Singolare, sempre per il fatto di essere una “attualità ultima”, resta anche al di sotto del Comune. L’individuo individuato non compendia in sé la perfezione insita nella “natura comune” perché non è che una delle tante sue possibili determinazioni. Nessun singolo può esibire il Comune in quanto tale, dato che quest’ultimo comprende, come suo tratto essenziale, la comunicabilità e la condivisibilità, ossia la relazione tra molti singoli. Ogni lavoratore cognitivo aggiunge qualcosa al general intellect, ma non ne rappresenta per intero la potenza, quella potenza che invece si dà a vedere nell’agire di concerto di una moltitudine.
Un rapido cenno ad alcuni corollari desumibili dalle due asserzioni fondamentali.Ripetiamola prima: l’individuo aggiunge qualcosa alla natura comune. Ciò significa che la singolarità non è il mero residuo di una serie infinita di opposizioni e delimitazioni. Secondo Scoto, “questo uomo” non è un singolo perché è distinto da tutti gli altri individui, ma è distinto da tutti gli altri individui “par quelque chose en lui de positif” (Ordinatio II, 3, § 49; trad. fr. p. 109). Che la si chiami “attualità ultima” (con Scoto) o “risoluzione di uno stato metastabile carico di potenziali” (con Simondon), questa positività del Singolare contrasta con il modello negativo-differenziale di individuazione prevalso nelle scienze umane influenzate dallo strutturalismo. Gérard Sondag osserva che la posizione di Scoto offre qualche buona ragione per revocare in dubbio la celebre tesi di Ferdinand de Saussure, secondo la quale nella lingua ogni singolo elemento è definito soltanto dalla sua non-coincidenza con il resto: “on ne peut pas soutenir qu’à l’intérieur d’un système constitué ses éléments se définissent seulement par leurs différences mutuelles, ou que ces différences réciproques sont la condition suffisante de leur individualité – théorie qui pourtant a pu passer pour convaincante, pendant quelques dizaines d’années, dans un grand nombre de recherches dans les sciences de l’homme et dans celles du langage (les premières prenant souvent modèle sur les dernières” (Sondag 1992, p. 43).
La seconda asserzione fondamentale recita: l’individuo non esaurisce in sé la perfezione della natura comune. A mo’ di corollario, si potrebbe dire: il processo di individuazione, che fa di un animale umano una singolarità irripetibile, è sempre circoscritto e parziale; anzi, inconcludibile per definizione. Per Simondon, il “soggetto” travalica i limiti dell’“individuo”, giacché comprende in sé, quale sua componente ineliminabile, una quota di realtà preindividuale, ricca di potenziali, instabile. Questa realtà preindividuale coesiste durevolmente con l’Io singolare, senza però mai lasciarsi assimilare a esso. Dispone dunque di sue proprie espressioni autonome. Dal preindividuale sorge l’esperienza collettiva: la quale, per Simondon, non consiste in una convergenza tra molti individui individuati, ma nei diversi modi in cui si estrinseca ciò che in ogni mente non è passibile di individuazione. “Ce n’est pas véritablement en tant qu’individus que les etres sont rattachés les uns aux autres dans le collectif, mais en tant que sujets, c’est-à-dire en tant qu’etres qui contiennent du pré-individuel” (Simondon 1989, pp. 204-5). Come si è detto, la perfezione della natura comune si manifesta soltanto nella interazione tra singoli, senza appartenere a nessuno di essi in particolare. La preposizione “tra”, di solito utilizzata con noncuranza, è quanto di meglio offre il linguaggio ordinario per indicare ciò che, pur esistendo realmente al di fuori della mente, è però “inférieur à l’unité numerique”. Il “tra” designa l’ambito della cooperazione produttiva e del conflitto politico. Nel “tra” il Comune mostra il suo secondo volto: oltre che pre-individuale, esso è trans-individuale; non solo sfondo indifferenziato, ma anche sfera pubblica della moltitudine.

4. L’angelo e il lavoratore cognitivo come “individus de groupe”
Torniamo infine agli angeli. Per Scoto, nonostante difettino di un corpo materiale, essi sono singolarità distinte. Altrimenti, egli dice, bisognerebbe concludere che “du seul fait qu’il est dépourvu de matière, un individu quelconque enfermait en lui-meme la perfection tout entière de l’espèce” (Ordinatio II, 3, § 249; trad. fr. p. 202): il che, si è visto, è un errore plateale. Un discorso analogo vale per i lavoratori cognitivi, la cui “natura comune” è il general intellect. Costoro, in quanto “attualità ultime” del cervello sociale, sono individui individuati. Ma lo sono, si badi, anche senza considerare i corpi desideranti che, non essendo angeli, certamente posseggono. L’individuazione dei lavoratori cognitivi deve riguardare, in primo luogo, il loro essere cognitivi. Ogni altra ipotesi è chiacchiera petulante.
Ciò detto e ripetuto, chiediamoci però se la “questione angelica” (e quella, parallela, del rapporto general intellect/moltitudine) non si presti anche a una diversa interpretazione. Una volta ammesso senza patemi d’animo che la mancanza di materia non impedisce l’individuazione, resta tuttavia invincibile l’impressione che, nel caso degli angeli, vi sia una anomala prossimità del Singolare al Comune. E’ pressoché impossibile pensare questo angelo particolare al di fuori dell’insieme coeso di cui è parte: schiere, troni, dominazioni etc. Il singolo cherubino, pur dotato senza alcun dubbio di unità numerica, sembra non essersi lasciato alle spalle l’essere preindividuale che, “inférieur à l’unité numerique”, lo connette a tutti i suoi simili. E’, sì, una “attualità ultima”, ma, bisogna aggiungere, una attualità che, con un movimento riflessivo, esibisce in sé lo stesso rapporto potenza-atto; è, sì, una singolarità, ma una singolarità che ostenta apertamente il passaggio dal Comune al Singolare. La tesi tomista, secondo la quale gli angeli non sarebbero soggetti a individuazione, è solo un modo errato di registrare questa situazione paradossale. Confutare l’errore non esime, però, dal fare i conti con il paradosso.
Tanto per gli angeli di Scoto che per gli odierni lavoratori cognitivi, essi pure caratterizzati da una sorta di bizzarra giustapposizione di Singolare e Comune, risultano illuminanti le riflessioni di Simondon sulla “individuazione collettiva”. Di che si tratta? La quota di realtà preindividuale, che perdura irrisolta presso ogni singolo soggetto, esige un ulteriore processo di individuazione, che però, ecco il punto, non può avvenire in interiore homine, cioè all’interno della mente, ma soltanto nella relazione tra molte menti. Questa seconda individuazione dà luogo, per l’appunto, al collettivo. Opponendosi a un buon numero di superstizioni filosofico-politiche, Simondon reputa che il collettivo non attenui la singolarità, ma la affini e la potenzi. Il collettivo è l’ambito in cui il pre-individuale si converte in trans-individuale. E l’individuo psichico, individuandosi di nuovo nel collettivo transindividuale, diventa un “individu de groupe”. Scrive Simondon: “Il n’est donc pas juste de parler de l’influence du groupe sur l’individu; en fait, le groupe n’est pas fait d’individus réunis en groupe par certains liens, mais d’individus groupés; d’individus de groupe. Les individus sont individus de groupe comme le groupe est groupe d’individus. [… le groupe n’est pas non plus réalité interindividuelle, mais complément d’individuation à vaste échelle réunissant une pluralité d’individus” (Simondon 1989, pp. 184-5).
E’ alla luce di queste considerazioni che bisogna riformulare la “questione angelica”. Sia gli angeli che i lavoratori cognitivi si presentano come individus de groupe. In entambi i casi, cioè, si ha la concomitanza e l’intreccio inestricabile di due individuazioni: la “psichica” e la “collettiva”. L’anomala prossimità del Singolare al Comune si spiega con il primato dell’esperienza transindividuale nella vita di ogni individuo individuato. Il lavoratore cognitivo, “attualità ultima” del general intellect, rispecchia nella sua singolarità contingente il “tra” in cui hanno luogo le relazioni tra molti lavoratori cognitivi. Al pari dell’angelo, egli è un individuo positivamente distinto che, però, non si lascia pensare al di fuori dell’insieme cui appartiene. Si badi: è proprio la positiva distinzione di questo lavoratore cognitivo che resterebbe negletta, se non si puntasse lo sguardo sull’agire di concerto cui partecipa, sulla cooperazione produttiva e politica che lo include, sulla realtà transindividuale che gli compete (e che, in lui, acquista una tonalità intima e inconfondibile).

Bibliografia

– COMBES M., Simondon. Individu et collectivité, Puf, Paris 1999.

– DUNS SCOT, Le principe d’individuation (Ordinatio II, 3, première partie), introduction, traduction et notes par Gérard Sondag, Vrin, Paris 1992.

– SIMONDON G., L’individuation psychique et collective, Aubier, Paris 1989.

– SONDAG G., Introduction à Duns Scot, Le principe d’individuation, cit., pp. 7-84.