2. Sur l'Argentine

Il “Quilombo” argentino

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Estranei al vero significato della parola “quilombo”, che per le lotte degli
schiavi nel vicinissimo Brasile rappresentó uno spazio di fuga e di libertá,
gli argentini la usano per indicare una situazione di “confusione e caos”.
Piú o meno quel che il Presidente brasiliano uscente, Fernando Henrique
Cardoso, chiama “baderna” quando si tratta di squalificare le manifestazioni
pubbliche di scioperanti e oppositori. I “baderneiros” del presidente
brasiliano sono i “quilombeiros” del governo argentino, da Alfonsin a
Duhalde. Solo che, per uno strano colpo del destino, il quilombo argentino
si é trasformato in un vero e proprio quilombo brasiliano: in un esodo
costituente. Le grandi manifestazioni popolari del 19 e 20 dicembre 2001
sono state l’evento costituente di un vero e proprio esodo democratico.
Sfidando lo “stato di assedio” appena decretato dal pavido Presidente De La
Rua per “proteggere la popolazione indifesa dalla violenza”, disoccupati
della periferia e ceti urbani di Buenos Aires hanno immediatamente mostrato
la fragilitá del potere in uno spazio di affermazione collettiva il cui
orizzonte de azione politica non andava al di là di una parola d’ordine
tanto radicale quanto semplice: “que se vayan todos, que no quede ni uno
solo” (Che se ne vadano tutti, che non ne resti neanche uno solo).
Da quel momento in poi sono passati nove mesi che sembrano un secolo e la
parola d’ordine è stata rispettata scrupolosamente. Un insieme complesso,
diversificato e multiplo di soggetti sociali non é appena riuscito a
rimuovere due presidenti (De La Rua e Rodriguez Sá) e vari ministri
dell’economia, ma soprattutto ha sanzionato, nel movimento stesso in cui
questi soggetti diversi e frammentati si costituivano come moltitudine, la
fine dei partiti politici e di tutte le forme tradizionali di
rappresentanza. Lo Stato é rimasto nudo, malgrado la sinistra nostalgica che
continua a credere ad una sua riformulazione. Il presidente Duhalde, che
conosce alla perfezione i meccanismi di manipolazione partitica e di
coazione istituzionale, riesce malapena a salvare la pelle appoggiandosi,
per governare, sulla Corte Suprema di Giustizia, in un vergognoso gioco di
ricatti mutui. Neanche i candidati alle prossime elezioni stanno molto bene:
il movimento dei movimenti gli rifiuta la parola, anticipa le loro strategie
di potere e li minaccia brandendo la veritá. Ma chi sono questi soggetti che
si rifiutano a negoziare con il governo e con i partiti e gli impediscono,
in questo modo, di definire la seppur minima linea di compromesso con il
Fondo Monetario Internazionale ? Chi sono questi schiavi fuggitivi che
costituiscono il Quilombo argentino ?

“Veinte años no es nada” (?)

La storia degli ultimi vent’anni in Argentina é la storia timida della
democrazia. É la storia di ció che é stato dolorosamente conquistato lungo
un periodo difficile e complesso. In primo luogo, si é dovuto fari i conti
con il passato, con i 30.000 scomparsi e con i morti della guerra delle
Malvinas. Malgrado la legge della “ubbidienza dovuta e del punto finale”, il
movimento democratico é riuscito a portare in giustizia e condannare i
generali della dittatura. Il Generale Galtieri é stato destituito
dall’esercito per inezia. Le organizzazioni di diritti umani sono diventate
una referenza dell’azione politica, e las Madres de la Plaza de Mayo una
figura emblematica della resistenza. Quando il potere chiuse il recinto
giuridico che bloccava il “giudizio e castigo dei colpevoli” , le Abuelas de
Plaza de Mayo aprirono immediatamente un’altra breccia e continuarono nella
ricerca dei loro nipoti rapiti dai sequestratori e torturatori dei loro
figli. Con il giornale Página/12, il cui ruolo nella costruzione di una
soggettivitá autonoma e antagonista non deve essere sottovalutato, é apparso
infine anche un inizio di stampa indipendente.
In secondo luogo, sempre in questi vent’anni, si é sviluppata una lunga
battaglia contro le strutture e i dirigenti sindacali che sempre si sono
mantenuti incrostati nelle pieghe del potere, compreso del potere militare
durante la dittatura. C’era un’altra possibilitá di sviluppare questa lotta,
fuori dal regime neoliberale del governo Menem, cioè senza le riforme dello
Stato e le privatizzazioni delle imprese statali realizzate da un governo
peronista ? In ogni caso, é certo che si è pagato un prezzo molto alto.
Seconda dati recenti dell’Istituto Nazionale di Statistica e censo (INDEC),
il 53% della popolazione é considerata povera e un argentino su quattro è
considerato indigente, cioè guadagna meno del necessario per la sua
sopravvivenza alimentare. Dall’ ottobre del 2001 a maggio del 2002, 5,2
milioni di persone si sono trasformate in nuovi poveri e almeno 4 milioni
hanno passato la linea della povertà. É anche questa la miscela esplosiva
della rivolta.
In terzo luogo, i partiti politici hanno perso le loro basi sociali e, con
loro hanno perso leggittimitá il loro sistema di alleanze e il resto delle
istituzioni cardine della democrazia rappresentativa, compresa la Corte
Suprema di Giustizia. Per quel riguarda i partiti politici, le assemblee di
quartiere, i piqueteros (il movimento dei disoccupati), i lavoratori delle
fabbriche occupate rifiutano la loro presenza istituzionalizzata. Nelle
riunioni si parla di politica e non di partiti. Per quel che riguarda la
Corte Suprema, nessuno si fa illusioni sui suoi meccanismi si sopravvivenza:
il naufragio dell’esecutivo e del legislativo, afferrati ai salvagente di
quel che resta della macchina della legalità : “Veinte años no es nada”
recita il tango alla ricerca di un’impossibile redenzione nel passato. Per
la democrazia argentina, gli ultimi vent’anni, al contrario, hanno
significato moltissimo. Chi sono dunque i “quilombeiros” argentini ? Quelli
che hanno lottato e capito questo: che il combustibile che mantiene accesa
la torcia della democrazia é il bene comune.

De te fabula narratur

Un esempio della radicalitá della parola d’ordine, “que se vayan todos, que
no quede ni uno solo”, é il patetico articolo di Mariano Grondona, un
amabile intellettuale organico del potere e della repressione, lettore di
Bobbio e “tutti quanti”, pubblicato dal giornale La Nación del 25 agosto
2002 con il titolo: “Che dicono quando dicono ‘que se vayan todos’?”. Il
problema, secondo Grondona, é che non si sa quel che sta dietro a questa
affermazione. “Noi vogliamo sapere qual’é il discorso profondo che si
nasconde dietro il discorso apparente”. Varie riposte possibile a questa
domanda. Nella prima, letterale, “que se vayan todos” significa, ci dice
Grondona, que se vayan todos dove nessuno resterebbe fuori dalla condanna
popolare (sic), ció costituirebbe logicamente un assurdo. Ma, avanza il
nostro, la frase dice que se vayan todos e non que nos vayamos todos. Gli
argentini restano cosí divisi in due: quelli che mandano via e gli altri che
dovrebbero ubbidire. Questo sembra piú logico.
Ma chi sono quelli che dovrebbero andarsene ? Tutti i politici ?
Evidentemente no, dice Grondona, perché alcuni politici fanno loro la parola
d’ordine que se vayan todos. Forse dunque i politici tradizionali, ma loro
contano con appoggio nei sondaggi elettorali. E se alcuni di quelli che se
ne vanno ritornano o vogliono voltare ? Dovrebbero essere proscritti? Se,
si, questo sarebbe compatibile con la democrazia ? Cul-de-sac. A questo
punto Mariano Grondona regna assoluto: non sono poi tutti che vogliono che
tutti se ne vadano. Subito pontifica: “Una volta che il tribunale della
logica ha condannato la [parola d’ordine que se vayan todos, non diremo
anche noi che c’è qualche verità dietro il detto più popolare del nostro
tempo ?”.
I numeri non permettono a Grondona di mentire. Negli ultimi anni l’Argentina
é diventata drammaticamente più povera. La disoccupazione, la fame e la
miseria sono dati oggettivi, ancora di più nelle periferie e in alcune
province del nord del paese, dove gli indici di povertà toccano 60% della
popolazione. “Il peggio, dice il principale giornalista politico della
televisione argentina, non è un determinato livello di povertà. Il peggio è
il fatto che la povertà aumenta. [Il nostro paese è il paese dei nuovi
poveri”. Il vero significato della parola d’ordine “que se vajan todos” é
dunque che “devono andarsene i responsabili della nostra impoverimento”.
Non essendo ne politico ne economista, Grondona pensa che riesce a
dimostrare che lui e tanti altri come lui starebbero fuori dalla condanna
popolare che lo preoccupa cosí. Ma i quilombeiros argentini sanno
esattamente che cosa significa que se vajan todos: compresi i lupi con pelle
d’agnello che collaborarono con la dittatura militare e difendono i militari
per la strada ogni volta che succedono degli episodi di disobbedienza
civile. Perché é cosí che si é costituita la povertá del Paese. É la logica
della moltitudine che spiega questo senso profondo della parola d’ordine, e
non la pavida spiegazione della culpa e della paura di un potere spaventato.

Dalla “República dos Palmares” alle “Repúblicas de los Pampas”.

Fino alla definitiva e tardiva data ufficiale dell’abolizione dello
schiavismo in Brasile, il 13 maggio 1888, i quilombos rappresentavano una
delle forme più complete e vitali della lotta dei neri per la conquista
della libertà. Si moltiplicavano nell’esteso territorio brasiliano come
luoghi di resistenza al potere costituito della società “escravocrata”.
Erano in gran parte autonomi e inespugnabili. La loro repressione era
compito fondamentale dello Stato, visto che le fughe, che i quilombos
trasformavano in fenomeno permanente o definitivo, affettavano l’economia e
l’ordine sociale delle colonie e dell’Impero. Il più importante, chiamato
“República dos Palmares”, duró per quasi un secolo, come una ciste nel corpo
delle piantagioni del nordeste, le più importanti dell’epoca, divorando il
loro sistema linfatico e debilitando le energie produttive che davano
sostegno a questa relazioni di potere. Fú sconfitto, dopo vari inutili
tentativi, alle truppe portoghesi comandate da un bandeirante: Domingos
Jorge Velho.
Anche il quilombo argentino si é costituito a partire da un desiderio di
libertà. Si tratta della libertá di poter decidere senza costrizioni sul
destino del bene comune, di quel che, secondo Spinoza, costituisce la
felicitá di tutti e di ognuno. In questo senso, la “República de los Pampas”
dev’essere considerata come la costruzione di uno spazio vitale di
affermazione democratica, che non puó essere istaurato che fuori dal
territorio sovrano dello Stato e contro di lui. Diversamente dai movimenti
armati degli anni ’60 e ’70. La “república de los pampas” (il quilombo
argentino) conta sulle tattiche della disubbidienza civile, ignora qualsiasi
forma di opportunismo messianico e/o di pratiche di centralizzazione.
Riconosce appena la sovranitá delle assemblee popolari. Moltiplicati in ogni
circostanza ed in ogni luogo.
É difficile prevedere il futuro dell’Argentina. Nello stesso tempo, non ha
molto senso di esercitarsi nella previsione quando la potenza della
moltitudine presuppone conseguenze imprevedibili. Come misurare il valore
politico e istituzionale di un’assemblea di quartiere dove persone di varie
etá, traiettorie di vita e condizione sociale si riuniscono sistematicamente
per discutere il senso immanente della democrazia ? Come valutare il potere
costituente di un gruppo di disoccupati o dell’autogestione delle fabbriche
occupate quando le forme politiche tradizionali le escludevano
sistematicamente considerandole troppo pericolose ? Forse, i politici della
grande trasformazione sono neppure presenti nel quotidiano di queste lotte.
Ma una cosa é certa: ne la democrazia, ne la cittadinanza, ne la vita della
gente non saranno più le stesse dopo gli eventi del 19 e 20 dicembre 2001,
quando cominciô il quilombo argentino.