Compléments de Multitudes 1

L’Impero e la tratta degli schiavi : Seattle visto dal Brasile

Partagez —> /

Version italienne de art211, rub4, publiée dans “Posse”, n°1, avril 2000Uno degli strumenti essenziali di governo dei mercati mondiali é stato bloccato, per la prima volta, dalla mobilizzazione dei cittadini. Questo tipo di evento, completamente nuovo, ha paradossalmente imbarazzato la sinistra brasiliana tanto quanto, o ancora di piú, il governo neo-liberale del Presidente Fernando Henrique Cardoso.
Per capire questa situazione paradossale, dobbiamo porci, innanzitutto una domanda : che cosa rappresenta Seattle per la sinistra brasiliana ? La risposta é, nello stesso tempo, chiara e drammatica : la primavera di Seattle non puó essere riconosciuta dalla forze egemoni in seno alla sinistra brasiliana perché finisce per minare un discorso fondamentalmente basato sull’inerzia perniciosa dell’ideologia socialista del lavoro, da un lato, e dello Stato Nazione, dall’altro[[Un discorso che é il fratello gemello delle critiche neo-sovraniste alla globalizzazione sviluppate, del resto, nei risvolti piú retorici de Le Monde Diplomatique..
Un anno dopo la crisi finanziaria che ha immerso sua economia in un ciclo vizioso di ritorno strisciante dell’inflazione accompagnato da recessione profonda e di una nuova esplosione del debito estero, il Brasile costituisce un punto di ooservazione privilegiato sugli eventi di Seattle : la primavera che questi annunciano apre un orizzonte nuovo, come l’uscita dal lungo inverno tropicale che, negli ultimi dieci anni del ventesimo secolo, ha pesato sul dibattito politico e sociale in Brasile.
Avremmo potuto aspettarci che la prima grande lotta nella mondializzazione trovi un eco enorme presso le forze politiche impegnate, in Brasile, nella critica dei piani neo-liberali applicati dal 1993 ; una critica che si é esacerbata in seguito agli accordi firmati tra il governo brasiliano e il Fondo Monetario Internazionale in novembre del 1998. Ma non é cosí !
L’enigma che Seattle rappresenta per la sinistra é ben illustrato in questo episodio : nel corso di una breve visita in Brasile, una settimana dopo quella dei rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), il Secretario del Tesoro statunitense, Lawrence Summers, ha rilanciato le dichiarazioni di Bill Clinton sulla necessitá di includere le clausole sociali (in particolare la lotta contro il lavoro dei bambini in alcuni paesi, tra i quali il Brasile) nelle trattative commerciali. Ma, nella stessa occasione, Summers rivolgeva un vibrante elogio al Brasile che é riuscito a rimnorsare piú di 5 miliardi di dollari del prestito d’emergenza concesso dal FMI e dal Tesoro degli Stati Uniti nel novembre del 1998 : « Il Brasile sta mostrando che la nostra fiducia é stata ben investita », affermava Summers.
In effetti, il governo di Fernando Henrique Cardoso affronta in modo relativamente semplice (e fondamentalmente coerente) le ingiunzioni dell’Impero : da un lato, continua ad onorare I suoi impegni presso l’FMI ; dall’altro, chiede all’OMC di non ostacolare questo sforzo (introducendo le clausole sociali).
Per la maggioranza della sinistra[[La difesa dello Stato nazionale é oggetto di un grande consenso tra le differenti correnti politiche ed intelletuali della sinistra brasiliana. Si tratta di una quasi unanimitá trasversale, ma che sviluppa in realtá traiettorie differenti delle quali non possiamo rendere conto nel quadro limitato di questa « lettera ». Ma, in ogni caso, questa unanimitá mostra una tale identificazione con I problemi legati all’affermazione di uno Stato sovrano brasiliano che le divergenze teoriche e politiche passano, volens nolens, in secondo piano. Cosí, in questo « fronte unito », troviamo le posizioni di chi difende la costruzione di un capitalismo « nazionale » e quelle di chi si piazza nella prospettiva di critica dell’economia politica. José Luís Fiori cita Braudel per difendere la necessitá di uno Stato sovrano, visto che il capitalismo si é sempre sviluppato grazie allo Stato. (Cf. ” Globalização, Hegemonia e império ” in J.L. Fiori e M.C. Tavares. Poder e Dinheiro. Ed. Vózes. Petrópolis. 1997). La filosofa spinozista Marilena Chauí adotta delle posizioni simili e, per criticare il Convegno di Firenze del 21 novembre del 1999, sottolinea il fatto che, per il « catechismo della Terza Via, la Nazione é un dato culturale e non economico, in modo che la questione della sovranitá dello Stato Nazione non puó piú essere trattata come sovranitá politica e come regolazione economica » (Cf. ” A pastoral de Florença e a guerra de Seattle ” in Cadermo Mais, Folha de São Paulo. 19 décembre 1999). e, piú in generale, per l’insieme dell’opposizione, dopo Seattle lo scenario é diventato drammaticamente piú complesso e francamente imbarazzante : la mobilitazione citoyenne di Seattle rivela senza compiacenze la prigrizia teorica, l ‘ideologia politica e il corporativismo sociale di una sinistra che continua a puntare tutte le sue speranze future di un radicale e urgente cambiamento sociale nell’ereditá di un passato particolarmente detestabile : quello dello Stato nazione brasiliano. La luce di Seattle sorprende, impietosa, i plotoni sparsi di una sinistra burocratica, corporativa che sprofonda un pó di piú nella melma delle scorciatoie nazionaliste e cosí cade, nelle incoerenze suicidiarie e conservatrici della retorica della resistenza.
A Seattle, la globalizzazione é apparsa como un nuovo terreno di lotta sociale e politica. Non é lo Stato nazionale che difendevano le manifestazioni contro l’OMC. Non é l’organizzazione Mondiale del Commercio in quanto organismo supra-nazionale che é stato attaccata. Al contrario, l’obiettivo erano i suoi modi di funzionamento opachi e burocratici, ossia le sue dimensioni statali.
La critica radicale, nuova e post-nazionale, si oppone al governo imperiale, ma butta lo Stato nazionale nella pattumiera della storia. In queste condizioni, quale prospettiva resta ad un discorso d’opposizione che punta tutto sul mantenimento de ogni tipo di frontiera (geografica, culturale, economica ecc. ecc.) e quindi sulla ricostituzione di una via nazionale, della « opzione brasiliana »[[Opção Brasileira, si trata del titolo di un libro collettivo organizzato da un intellettuale vicino al Movimento dos Sem Terra (MST), César Benjamin, e firmato da molti militanti e intellettuali di sinistra, tra i quali João Pedro Stédile, uno dei dirigenti nazionali del MST. Cf. Ed. Contraponto, Rio de Janeiro. 1998. Questa stessa tematica é stats ripresa dalla rivista di una delle piú importanti ONG della sinistra brasiliana (FASE). Cf. Proposta, “Opção Brasileira”, Ano 23. N. 82. Rio de Janeiro, Setembro/novembro de 1999., contro lo « smantellamento della nazione” [[Facciamo riferimento al libro organizzato da Ivo Lesbaupin, O desmonte da nação, Ed. Vózes. Petrópolis. 1999. Si veda anche Marcha Popular pelo Brasil. Carta aos lutadores do povo. Pará de Minas. 23 août 1999. imposto dal capitale « comspolita e apólide » ?
L’imbarazzo della sinistra brasiliana é patente : non solo il divieto pubblico della riunione privata degli stati nazionali non é stato salutato con l’entusiasmo che avremmo potuto aspettarci, ma una quasi unanimitá si é costituita per difendere gli interessi delle « esportazioni » … nazionali di fronte al protezionismo imperialista … che condanna il lavoro dei bambini.
Eccoci ritornati alla tratta degli schiavi : attraverso il suo divieto della tratta, in 1809, e in seguito dello schiavismo, la flotta inglese coronava la sua posizione di nuova potenza coloniale dell’America Latina. In 1865, le truppe Yankees schicciavano l’economia schiavista delle grandi piantagioni del Sud degli Stati Uniti e costituivano il mercato necessario all’industrializzazione del Nord. C’è chi, seguendo la metafora, non ha paura di intravvedere un vigoroso parallelo. L’inclusione, da parte degli Stati Uniti, delle clausole sociali nei trattati che regolano il commercio mondiale non farebbe che rafforzare la loro strategia « che mira a smantellare la base industriale del Brasile e ad assicurarsi il controllo del suo mercato interno cosí come ad accelerare il programma di privatizzazioni in corso » in modo da « gettare le basi di una rapida ri-colonizzazione dell’economia brasiliana da parte del capitale straniero (…)”[[Michel Chossudovsky. “la recolonisation programmée du Brésil”. Le Monde Diplomatique. Mars 1999.. Ma, come si puó fare per sentirsi solidale con il rifiuto, da parte dei Paesi in Via di Sviluppo, d’includere le clausole sociali (e ambientali) nelle trattative commerciali senza divenire complici delle élites nazionali di questi stessi paesi ?
Giá la prigrizia teorica che regge le i relitti d’ideologia statalista di origine socialista aveva giá lasciato la via libera alle politiche neo-liberali che han cosí potuto monopolizzare il terreno delle « riforme » in generale e della « riforma dello Stato » in particolare. La difesa della sovranitá nazionale, insieme a un terzomondismo molte volte agitato a partire dal primo mondo[[Facciamo riferimento, ancora una volta, a Le Monde Diplomatique ed in particolare alle iniziative militanti che questo giornale organizza e/o appoggia. Tra queste, si puó citare il meeting di ATTAC in La Ciotat (Sud della Francia). In questa riunione, Bernard Cassen ha accolto il governatore dello Stato di Minas Gerais, Itamar Franco, come un simbolo comme un simbolo della lotta contro la globalizzazione. Ma, chiediamoci, chi é quest’uomo politico che alcune centinaia di giovani terzomondisti hanno applaudito ? SI tratta dell’ex vice-presidente di Fernando Collor de Mello. Collor, eletto contro Lula in 1989 per una manciata di voti (e amolte palate di milioni !) fu destituito (per ragioni di corruzione) in 1992 e sostituito dal suo Vice, cioé dall’eroe della lotta contro la globalizzazione, Itamar Franco. Quest’utlimo governó fino al 1994. L’attuale Presidente, Fernando Henrique Cardoso, era il suo Ministro del Tesoro ed in luglio del 1994, ancora sotto la sua legislazione, che il Plan Real é stato lanciato. Nel periodo di Itamar (vice-presidente o presidente) hanno avuto luogo carneficine di civili indifesi (Vigário Geral, Carandirú, Candelária) tanto orribili quanto quanto I massacri di Eldorado de Carajás et Corumbiára, nell’epoca di Fernando Henrique Cardoso. In ogni caso, nessuno di questi massacri é stato deciso, in quanto tale, dal potere politico centrale, mentre tutti sono stati perpetrati nelle forme e nei modi nei quali funziona l’apparato di Stato. , riesce il brillante risultato di lasciare all’Impero americano e alle sue succursali il terreno del cambiamento e della lotta contro il lavoro dei bambini.
Non potremo, nell’ambito di questa lettera, proporre un’analisi approfondita e dettagliata delle componenti interne al discorso neo-sovranista che attanaglia la sinistra brasiliana.. Ci limiteremo appena a disegnarne un ritratto sintetico, a partire dai suoi tre lineamenti fondamentali : (1) il discrso sull’etica del lavoro ; (2) la fede nel ruolo dello Stato e, infine (3) l’analisi delle forme e dei contenuti del processo di globalizzazione.
In un recente « manifesto », intitolato « In difesa del Brasile, della democrazia e del lavoro » e firmato praticamente da tutta la sinistra brasiliana (politica, sindacale e intelletuale)[[L’ unanimitá (firmato dall’insieme dei rappresentanti delle differenti tendenze del Partito dei Lavoratori – PT-) e il numero (116) delle adesioni a questo Manifesto nasconde, naturalmente, delle differenze importanti tra I firmatari ; essa appaiono anche nelle incoerenze patenti del testo. Ma questo pluralismo implicito mostra l’enorme potere consensuale che il discorso statalista detiene e lo rende, indirettamente, ancora piú preoccupante. si poteva leggere che « bisogna riprendere la lotta, difendere il Brasile, costruire la democrazia e valorizzare il lavoro, non solo in quanto elemento dei rapporto di produzione, ma anche come valore etico fondatore della civiltá »[[Em defesa do Brasil, da Democracia e do Trabalho, Cit. Novembre 1999. . Lasciamo perdere la piú completa assenza di riferimenti alle differenti dimensioni del lavoro, dimentichiamo anche le strizzate d’occhio (francamente reazionarie) alle sue qualitá disciplinari. Limitiamoci al rapporto tra lavoro e occupazione che questo tipo di approccio implicitamente afferma. In effetti, sullo stesso tono, uno dei fondatori della teoria dello sviluppo della CEPAL (co-signatario del « manifesto » giá citato), l’economista Celso Furtado, scrive nel sul ultimo libro : « (…) se l’obiettivo (dello Stato nazione – sic ! – ) é di raggiungere il benessere sociale, non ci sono ragioni di investire in tecnologie capital intensives che finiscono per eliminare mano d’opera, come si sta facendo attualmente in Brasile ».[[Celso Furtado. O longo amanhecer. Ed. Paz e Terra. São Paulo. 1999. P. 37. Inutile sottolineare fino a che punto questa visione che attribuisce al lavoro salariato un carattere morale e che addirittura giustifica la necessitá di una pianificazione destinata a limitare lo sviluppo delle forze produttive, sia particolarmente perversa in un paese dove, come in Brasile, l’accumulazione capitalista ha avuto luogo (dalla piantagioni di canna da zucchero fino al caffé) a partire dall’imbrigliamento sistematico del rapporto salariale[[Cf. Yann Moulier Boutang, De l’esclavage au salariat. Économie historique du salariat bridé. Éd. PUF. Paris.1998. Si veda in particolare il capitlo 17, sulla “Transition brésilienne”.. Questa segregazione, sulla quale si é storicamente fondato il mercato del lavoro, non é per niente scomparsa con l’abolizione, tardiva, dello schiavismo (1888). Al contrario, essa ha segnato in profonditá il processo d’industrializzazione che ha fatto del Brasile (dalla « rivoluzione del 1930 » fino al « miracolo » degli anni 1970), allo stesso tempo, una potenza industriale di livello mondiale[[“Noi abbiamo costruito il piú importante sistema produttivo del Terzo Mondo, con la piú grande base industriale e un reddito per capita relativamente elevato » A Opção Brasileira. Op. Cit. p. 25. e il campione mondiale della piú ineguale distribuzione del reddito. Ma l’ideologia socialista del lavoro possiede una sorprendente forza d’inerzia. Schizofrenicamente, Celso Furtado sottolinea I meriti di una « industrializzazione intensiva in mano d’opera » e prega il ritorno a politiche economiche capaci di « massimizzare i vantaggi relativi (di un paese del terzo Mondo) e, tra questi vantaggi (…), la mano d’opera poco cara ».[[Celso Furtado. Op. Cit. pp. 76-7.
Il basso costo della mano d’opera é dunque un vataggio comparativo, rivendicato contro la globalizzazione e in nome della sovranitá nazionale. É il mondo al rovescio : mentre abbiamo, nel caso del Brasile, la piú drammatica dimostrazione empirica del fatto che l’industrializzazione taylorista non implicava necessariamente un circolo virtuoso di distribuzione dei frutti della crescita della produttivitá e di espansione della domanda interna tirata dai salari reali, la sinistra brasiliana continua a riproporre impassibile le strategie di massimizzazione dell’occupazione a qualunque costo e, cosí facendo, i meriti del « plusvalore assoluto ». I salari reali non sarebbero riusciti a tirare la crescita « a causa (…) di un eccedente strutturale do mano d’opera (…) ».[[A Opção Brasileira. Op. Cit p. 27. Si continua dunque insistendo sull ‘occupazione e, per di piú, sull’occupazione a basso costo, quando la question é quella della qualitá dell’occupazione. Una qualitá che non puó svilupparsi che in funzione della distribuzione del reddito ! É la distribuzione del reddito che puó e deve alimentare un ciclo effettivamente nuovo dell’occupazione e non il contrario !

(2) Questo rovesciamento economicista (anti-keynesiano e pre-fordista) del senso della relazione tra salari e occupazione é l’inevitabile conseguenza della doppia caratteristica del discorso neo-sovranista di una fetta consistente della sinistra brasiliana : il cambiamento sociale visto in quanto continuazione di una via di « costruzione nazionale »[[A Opção Brasileira. Op. Cit pp 57 a 65. che passa per la difesa le ruolo dello Stato. Uno statalismo oltranzista le cui evidenti contraddizioni interne sono risolte sul piano di una curiosa teoria delle « élites-vendute-agli-interessi-del-capitale-straniero ». Da una parte, ci sarebbe lo Stato (e il « popolo » [[Solo un accecamento ideologico particolarmente tenace puó spiegare l’ utilizzaizione di questa nozione generica di « popolo » nelle stesse pagine nelle quali si riconosce che la societá brasiliana é profondamente razzista, segregazionista e la piú disiguale del mondo. brasiliani), per mezzo del quale il Brasile é riuscito a diventare una potenza industriale e potrebbe continuare a regolare il mercato. Dall’altra, ci sarebbe una élite « irresponsabile, indifferente e passiva » [[Em defesa do Brasil, da Democracia e do Trabalho, Cit. di fronte agli interessi della Nazione. É questa élite che costituirebbe il vero ostacolo al funzionamento democratico, cioé sovrano, dello Stato. Questa « teoria delle élites » affonda le sue radici in differenti tradizioni teoriche e politiche. Queste formano, come nel caso delle religioni, un vero e proprio sincretismo. Ma, senza con questo ridurne la complessitá, possiamo indicarne due dimensioni particolarmente nitide : la prima é legata ai classici della storiografia e della sociologia brasiliana che hanno sottolineato l’importanza dell’ereditá della colonizzazione portoghese[[Cf. Sergio Buarque de Hollanda. Raízes do Brasil., publicado em 1936. nella formazione economica e sociale del Brasile ; la seconda é piuttosto legata alla letteratura piú recente sul welfare nei paesi industrializzati e sulle questioni che pone il suo limitato sviluppo in Brasile.[[On peut faire reférence, à ce niveau, à Eli Diniz, Crise, Reforma do Estado e Governabilidade. Brasil 1985-1995. Ed. FGV. Rio de Janeiro 1997. Al di lá della varietá dei filtri teorici e disciplinari, questi due contributi convergono in un discorso che funziona, piú o meno, in questo modo : le condizioni storiche della formazione delle élites brasiliane (la colonizzazione portoghese) avrebbero impedito la costruzione nazionale ; sarebbero dunque delle élites non-nazionali, completamente separate dal popolo[[Cf. Darcy Ribeiro. O povo brasileiro. A formação e o sentido do Brasil. Ed. Companhia das Letras. São Paulo 1995., e non lo Stato, che « si sono appropriate dei frutti dell’accumulazione economica in proporzioni scandalosamente elevate »[[Em defesa do Brasil, da Democracia e do Trabalho, Cit. Il paradosso di questi approcci é che, allo stesso tempo che si mobilitano contro le interferenze straniere, finiscono per sottomettere la dinamica socio-economica del paese a determinanti meramente esogene e francamente euro-centriste. In questa prospettiva, in Europa, l’universalizzazione dei diritti del lavoro (e di cittadinanza) sarebbe stata determinata dallo Stato e dalle tradizioni democratiche delle élites europee e non dalla forza dei movimenti sociali. Il keynesianismo[[La nozione di fordismo é totalmente assente dal dibattito. Non che la letteratura sia ignorata. Ma perché questa nozione é inaccettabile perché endogeneizza la dinamica dello sviluppo nei rapporti di forza interni alla relazione salariale. Neppure le posizioni ambigue dei regolazionisti francesi sul ruolo delle istituzione e dello Stato non possono essere accettate. diventa una sorta di frutto della civiltá britannica combinato alle capacitá di ingegneria pianificatrice degli europei (salvo i … portoghesi !). É completamente ignorato il fatto che la « grande trasformazione », segnata dall’intervenzionismo economico dello Stato dopo la seconda guerra mondiale, sia stata determinata, da una parte, grazie al suo indebolimento di fornte all’emergenza vittoriosa delle lotte operaie e, dall’altra, grazie all’evoluzione che la sua forma ha subito per poter costituirsi in quanto rappresentante del capitale collettivo.Ancora meno considerasi il fatto che lo Stato democratico non é un mediatore, ma un attore del conflitto di classe.
Cosí, contro venti e maree, si continua a sforzarsi per salvare e difendere il ruolo dello Stato, quando in realtá, il modello di sviluppo e di industrializzazione che il Brasile ha conosciuto, a partire dalla « Rivoluzione » del 1930 (che ha portato al potere il Generale e dittatore Getullio Vargas) fino alla « Rivoluzione » del 1964 (che ha portato al potere, tout court, i militari per altri vent’anni), mostrano chiaramente che uno sviluppo non-autoritario passa necessariamente per la drastica riduzione del ruolo e del peso dello Stato[[L’ideologia statalista riesce anche a ridurre la portata politica di una delle piú ricche esperienze di governo locale della sinistra : quella del comune di Porto Alegre, controllato dal PT da 12 anni (e che ha appena eletto anche il governatore dello Stato di Rio Grande do Sul del quale Porto Alegre ee la capitale). Internazionalmente conosciuta come un’esperienza di gestione democratica diretta per I suoi metodi di organizzazione della partecipazione dei cittadini alla gestione (orçamento participativo) del bilancio, il governo di Porto Alegre é analizzato come una prova che « le istituzioni di Stato, in generale create dall’alto, possono indurre l’attivismo civico nelle comunitá che dispongono di poche esperienze di cooperazione » e pertanto é analizzato como una « situazione dove gli attori statali possono promuovere l’associativismo » e la partecipazione. Rebecca Abers, « Do clientelismo à cooperação ». In Cadernos IPPUR. Rio de Janeiro. 1998, p.50 Non c’é proprio da stupirsi che l’italianissimo l’hegelianismo di un Domenico Losurdo sia ampiamente riconosiuto e oggetto di sistematiche traduzioni.. La ricchezza del Brasile non é certo determinata dall’intervento statale (come non era il caso nella vecchia Unione Societica), ma delle dinamiche sociali che si sono determinate dal basso, malgrado e contro lo Stato e le sue leggi. Mentre le industrie di Stato svendevano a prezzi stracciati un paese ridotto allo stato di commodity, alla rinfusa (quello che Furtado vorrebbe continuare a fare), le migrazioni interne, violentemente e drammaticamente autonome, affermavano, in uno dei piú rapidi processi di urbanizzazione del pianeta, la poetnza della vita del popolo (in quanto moltitudine non omologata) la forza della sua volontá di appropriazione della ricchezza. Sono le cittá brasiliane, con il loro spazi auto-edificati, che oggi costituiscono la piú importante ricchezza del paese : una ricchezza basata sulla potenza di produzione dei territori della vita, malgrado e contro lo Stato e i suoi piani di colonizzazione interna degli spazi vuoti della nazione.

(3) Infine, ed é ancora piú grave, interpretando la globalizzazione come un nuovo ciclo imperalista, l’ideologia statalista impedisce, a due livelli, alla sinistra di capire la forza delle politiche definite come « neo-liberali e le ragioni del rovesciamento del senso della parola « riforma »[[A Opção Brasileira. Op. Cit. p. 11. .
Innazitutto, la difesa dello Stato impedisce alla sinistra di vedere che le privatizzazioni non costituiscono un problema per il fatto che romperebbero l’industria e I servizi pubblici, ma perché in realtá si tratta appena di misure meramente formali. Le politiche neo-liberali non sono criticabili perché riducono ilpeso dello Stato, ma perché non lo riducono abbastanza : I neo-liberali si limitano a modernizzare i vecchi modi di appropriazione privata dello spazio pubblico e, con questo obiettivo, continuano a disporre di uno strumento fondamentale del quale non hanno nessuna voglia di privarsi : lo Stato !
In secondo luogo, e qui tocchiamo un elemento decisivo, la fede ideologica sul ruolo del potere costituito (lo Stato) una volta che sará conquistato da un progetto veramente « progressista » impedisce di analizzare con luciditá le basi materiali dei piani di stabililzzazione monetaria, in generale, e del piano Real, in particolare. Come altrettanti figli traditi, i vari intelletuali assumono il ruolo di orfani della Costituzione del 1988. L’imperdonabile peccato mortale dell’ex intelletuale di sinistra e attuale presidente della Repubblica, Fernando Henrique Cardoso, sarebbe quello d’aver tradito le « speranze democratiche che nutrivano la Costituzione del 1988 »[[Em defesa do Brasil, da Democracia e do Trabalho, Op. Cit Si veda anche José Luís Fiori, ” De volta à questão da riqueza de algumas nações ” in José Luís Fiori (sous la direction de) Estados e moedas no desenvolvimento das nações. Ed. Vózes. Petrópolis. 1999. p. 35-6.. Tutte le attenzioni sono cosí concentrate sulle dimensioni formali del processo costituzionale e si perde completamente di vista la questione delle sue basi materiali, cioé delle sue dimensioni e forze costituenti. Quel che il Piano di stabilizzazione monetaria ha realizzato é una soluzione tecnica e istituzionale adeguata all’alta inflazione. Un alto livello d’inflazione fondamentalmente determinato, negli anni 1980, dagli effetti di ricorsa generati da un’apertura democratica senza mutazione reale dei rapporti di forza tra le classi. Era dunque della conquista di una costituzione formale basata sulla persistenza della vecchia costituzione materiale che alimentava il processo inflazionario : ogni conquista sociale era, immediatamente oggetto di una codificazione corporativa (e, poi, di corruzzione-cooptazione) e convalidata nella dinamica dei prezzi. La somma tra un corporativismo molto vicino ai meccanismi piú perversi della corruzione (in particolare in materia di diritto del lavoro) e della cooptazione (nella amministrazioni populiste) rendeva l’impatto inflazionario sulla struttura dei prezzi relativi ancora piú ingiusto e amplificava in modo smisurato il meccanismo dei diritti conquistati (nella Costituzione del 1988) in privilegi acquisiti. É per aver compreso, con grande intelligenza, questo fenomeno che Fernando Henrique Cardoso ha utilizzato le tecniche macro-economiche di stabilizzazione monetaria per trasporre (e non risolvere !) la questione dell’inflazione. L’attuale Presidente della Repubblica Federativa del Brasile ha chiaramente compreso le vere dimensioni della costituzione materiale in vigore e, di fronte a questo blocco, ha scommesso sui benefici (sociali ma anche elettorali) di un eccesso internazionale di liquiditá che permetteva di sostituire all’inflazione dei prezzi quella dei tassi d’interesse. Se i mercati internazionali (e le imprese multinazionali) si sono riempiti le tasche grazie al risparmio pubblico e privato dei brasiliani, le condizioni di questo exploit sono completamente interne all’immobilismo politico-istituzionale nazionale, un immobilismo che deriva, essenzialmente, dal ruolo repressivo che lo Stato Nazionale gioca ancora in Brasile e che, in certi casi, si avvicina ad una vera e propria politica di sterminio.
In questa prospettiva, la globalizzazione costituisce, al di lá di ogni determinismo, una porta spalancata su un altro avvenire per le moltitudini che lottano e producono nelle grandi metropoli brasiliane. Una delle grande occasioni da cogliere, dopo Seattle, é la critica radicale dello Stato e della sovranitá nazionale.

Rio de Janeiro, 26 décembre 1999.