Compléments de Multitudes 7

Lettera a Limes sulle tute bianche

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Version originale italienne de 64Spett.le redazione di LIMES,

Con riferimento all’articolo (disinformato e sciatto quant’altri mai) di
Francesco Vitali sull’ultimo numero [3/2001, “I popoli di Seattle”,
tralasciando il fatto che le tute bianche non sono MAI, nemmeno per un
secondo, uscite dal Genoa Social Forum, che all’interno di quest’ultimo
hanno piena legittimità e riconoscimento, che il GSF ha rifiutato qualunque
logica di divisione tra presunti “buoni” e presunti “cattivi”, e che la
“dichiarazione di guerra” era un atto simbolico che ha avuto il merito di
“stappare” la situazione, col governo che si è accorto di non poter
cincischiare oltre…

… mi sembra che il fraintendimento di fondo sia sulla “disobbedienza
civile” messa in campo dalle tute bianche, e più in generale, su cosa
diamine siano le tute bianche medesime.

Preciso che non scrivo “a nome delle tute bianche”, io do la mia
interpretazione, che però è molto diffusa e condivisa dai più.
Le tute bianche non sono un movimento, sono uno *strumento* approntato nel
contesto di un movimento più vasto (quello dei centri sociali) e messo a
disposizione di un movimento ancor più vasto (quello globale). Le tute
bianche esistono ormai in decine di paesi.
Le tute bianche non vogliono “istituzionalizzarsi” come corrente politica,
né vanno identificate con Ya Basta! o coi centri sociali del Nord-Est.
Chiunque è libero di mettersi la tuta bianca purché rispetti (anche
modificando le forme d’espressione) lo *stile* affermatosi: rifiuto
pragmatico della dicotomia violenza/non-violenza, riferimento allo
zapatismo, distacco dalle esperienze novecentesche, pratica del terreno
simbolico dello scontro.
Il motto rimane: “Ci siamo messi la tuta bianca perché altri se la mettano.
Ci siamo messi la tuta bianca per potercela togliere”.
Qualunque ragionamento (critico o apologetico) che non parta da tale
presupposto è viziato all’origine.

La tuta bianca non è una divisa, e l’immaginario che suscita non è, NON
DOVREBBE MAI ESSERE di stampo militaresco. Chi si muovesse in quella
direzione commetterebbe un grave errore politico/simbolico.
La tuta bianca non è un’identità, un’appartenenza, un “intruppamento”. La
tuta bianca è uno strumento. Non si dovrebbe mai dire “Sono una tuta
bianca”, bensì: “Indosso la tuta bianca”.
Le tute bianche sono goffe, ridicole, più volte sono state paragonate agli
omini della Michelin, vicendevolmente si scoppiano a ridere in faccia,
quando la polizia carica non possono scappare e sono bersagli facili, è come
investire in bicicletta una mucca in un corridoio.
Il saluto semi-ufficiale delle tute bianche è ridicolo (un pugno chiuso col
mignolo alzato), le azioni delle tute bianche sono quasi tutte volte a
titillare l’ugola dei ridanciani, vedi le statue parlanti di Bologna.
Gli slogan delle tute bianche sono ironici in un’accezione *calda* (“Peace &
Love” associato a immagini di scontri, “Stiamo arrivando / bastardi stiamo
arrivando!” cantato sull’aria di *Guantanamera* mentre si avanza a mani
alzate sapendo che si prenderanno un sacco e una sporta di mazzate).
Le narrazioni che le tute bianche scrivono su sé stesse sono
auto-sarcastiche, come “La favola della scimmia bianca”, scritta durante la
Marcha de la Dignidad Indigena dell’EZLN, febbraio 2001.

Le tute bianche sono consapevolmente ridicole, e sinora è stata questa la
loro forza. Quando cesseranno di esserlo, urgerà cambiare strumento. Ma per
il momento le cose funzionano.

Riguardo al rapporto fra tute bianche e media:
Vitali descrive una sorta di rapporto di subalternità delle prime nei
confronti dei secondi.
Non è così. Le tute bianche hanno sempre giocato d’anticipo, il più delle
volte spiazzando gli stereotipi giornalistici.
Ci sono stati appuntamenti dopo i quali e’ stato oltremodo difficile per i
media presentare lo stereotipo degli “spaccavetrine”, perche’ il
comportamento e’ stato responsabile e se qualcuno faceva grosse cazzate si
capiva che era farina del suo sacco personale, non di quello delle tute
bianche etc.
Mi riferisco a Mobilitebio, 24-26 maggio 2000: in quell’occasione ci fu un
fronteggiamento tra polizia e tute bianche, nel contesto di un corteo
variegatissimo, eppure 1) nessuno prese le distanze dalle t.b.; 2) il
movimento non risultò comunque demonizzabile; 3) uno sparuto drappello di
dementucoli lanciò sanpietrini contro alcune vetrate, ma fu chiaro che erano
soggetti auto-isolantisi. Lo scontro servi’ a scatenare il dibattito (ancora
in corso) sugli OGM, e l’immagine diffusa fu talmente forte che poche
settimane dopo passò la moratoria sul transgenico, con tanto di contrasti in
sede di commissione europea.

Mi riferisco agli scontri bolognesi in occasione del NO-OCSE, giugno 2000:
le immagini diffuse dalla TV erano inequivocabili, mostravano tute bianche
che *si proteggevano* con scudi dall’aggressione di agenti di polizia
scalmanati, se non addirittura dopati. In quell’occasione non ci fu
demonizzazione, anche perche’ il corteo, *responsabilmente*, non assalto’
McDonalds e affini.
Mi riferisco a diversi articoli dalla corretta impostazione usciti sulla
stampa internazionale dopo il corteo anti-FMI a Praga, settembre 2000.
Mi riferisco alla mobilitazione contro il G8 sull’ambiente di Trieste,
aprile 2001. Di fronte allo stolido ottimismo di Bordon e alle false
promesse degli americani, le tute bianche urlarono che Bush non avrebbe MAI
E POI MAI rispettato l’accordo di Kyoto. Quod erat demonstrandum. Nelle
settimane precedenti, la stampa locale presentò “quelli dei centri sociali”
come barbari che sarebbero calati sulla Venezia Giulia mettendola a ferro e
fuoco. Il corteo fu pronto all’autodifesa, ma anche pacifico, ironico, ricco
di inventiva. La sera, i TG furono costretti ad ammettere che non era
successo niente di disdicevole, e a Trieste la cittadinanza si domando’ il
perche’ di tanta militarizzazione e tanto allarme preventivo.

Anche nel caso della mobilitazione contro il G8, le tute bianche hanno
dimostrato una grande capacità di spiazzare, costringendo i media a
interpretazioni schizoidi e all’incapacità di collocare stabilmente le tute
bianche tra i “buoni” o tra i “cattivi”.
D’altro canto, che le tute bianche siano tirate in ballo troppo spesso e a
sproposito è altrettanto vero, ma è un effetto collaterale (sgradito, ve
l’assicuro) di una “cura” che al movimento ha fatto e sta facendo bene. Non
commettiamo il solito errore “situazionista”, che appena qualcuno comincia a
capirti e il tuo messaggio “prende” significa che ti stanno fottendo, che ti
“recuperano”, che fai parte dello “spettacolo”. Quest’impostazione è una
macchina retorica che giustifica l’inazione e l’elitarismo, e va rifiutata.
[Casomai, risulta molto più utile il concetto di “egemonia” definito da
Gramsci e perfezionati dagli studiosi di sottoculture e stili pop della
Scuola di Birmingham, ma questo è un altro discorso…

Il problema (relativo) della sovra-esposizione mediatica può essere risolto
“raddrizzando” continuamente la rotta, non trovandosi mai dove ti aspettano
(e checché ne dica Vitali, è proprio quello che è successo con la
“dichiarazione di guerra”).

Dicono che sei violento?
Tu scompagini completamente il dibattito su violenza e non-violenza,
proponendo forme che non rientrano in nessuna delle due categorie.
Dicono che sei una minoranza estremista?
T’infiltri nella cultura pop, costruisci consenso, metti in crisi le
rappresentazioni ordinarie.
Cercano di contrapporti al Black Bloc?
Tu difendi quest’ultimo, smontando le calunnie e gli stereotipi.
Cercano di descrivere la parte come se fosse il tutto, dicendo che le tute
bianche *sono* il movimento, e così cercano di inchiodarti a un “dialogo”
che tanto meno ha senso tanto piu’ viene mediaticamente strombazzato?
Tu precisi che non c’e’ bisogno di “dialogo”, che il governo deve limitarsi
a garantire l’essenziale e che comunque la linea rimane la stessa: bloccare
il G8 ora e per sempre.
Ti infilano dappertutto come il prezzemolo?
Silenzio-stampa.
Ti chiedono pareri anche sulle cose che non fai tu?
Tu dici che sei solo una parte del movimento, e che tocca agli altri
spiegare ciò che fanno.

L’intero ragionamento di cui sopra è basato su informazioni accessibili
nella sezione “From the forum” di www.tutebianche.org, che raccoglie i
messaggi più significativi del gruppo di discussione “Referendum”.
Bizzarro che Vitali non ci abbia dato un’occhiata, dato che il soggetto del
suo temino era: “Vita e morte dei gruppi antiglobalizzazione al tempo di
Internet”.

Faccio infine presente che, da Seattle in poi, se siamo qui a parlare di un
vero e proprio “movimento”, e non di una semplice rete di associazioni (a
maglie tanto larghe che non la si identifica nemmeno come rete), e’ anche
soprattutto perche’ centinaia di migliaia di persone hanno messo a rischio i
loro corpi, rischiando le bastonate, l’intossicazione da lacrimogeni, e ora
anche le pallottole.

Cordiali saluti e buon lavoro,

Roberto Bui, 30 giugno 2001