Média-activisme

Cinque anni Rekombinant

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“Una mailing list deve continuamente chiedersi quale sia il suo senso il suo scopo e la sua visione. Altrimenti networking diventa soltanto un’altra frase vuota e prostituita dome multiculturalismo tolleranza, democrazia società aperta eccetera. Forse non incontrerai mai gli altri membri della tua lista ma è bene sapere che loro esistono. Ti fa sentir meno solo. Scrivere in una mailing list significa definire il tuo stormo. Significa che tu riconosci alcuni altri gabbiani coi quali gridare insieme online.”
(Aleksander GubaLanciammo la lista Rekombinant alla fine del luglio 2000, per elaborare due esperienze che in quell’anno giungevano a maturazione: la net culture fiorita negli anni novanta e il movimento globale anticorps che aveva preso forma alla fine del decennio. All’inizio dell’estate del 2000 a Bologna c’era stata la mobilitazione NOOCSE che per la prima volta in Italia aveva portato in piazza i temi della lotta internazionale contro la violenza economica del neoliberismo. Il centrosinistra sinistra era allora al governo, ma già si annunciava la sua sconfitta. Aveva governato indegnamente, gettando il seme del razzismo e della precarizzazione che hanno poi devastato l’Italia degli anni successivi.

Nel luglio 2000 dirigenti del partito dei democratici di sinistra ci chiesero di organizzare un incontro sui temi legati alle nuove tecnologie nell’ambito della festa nazionale dell’Unità. Accettammo la proposta e scrivemmo un documento (http://www.rekombinant.org/article.php?sid=1). Dopo aver letto il documento i dirigenti di quel partito annullarono la proposta. Non ce ne meravigliammo, né ce ne dolemmo. Potevamo fare da soli e da soli facemmo. Lanciammo il sito e la lista seguendo l’intuizione che le tecnologie ricombinanti (informatica e biogenetica) producono una mutazione delle forme di vita e delle forme epistemiche. La politica ci appariva del tutto inadeguata a comprendere e interpretare questa mutazione. Occorreva produrre una ricombinazione delle forme stesse della politica. Il che non significava affatto un’operazione formale interna al ceto politico esistente, ma un ripensamento della funzione stessa dell’agire collettivo http://www.rekombinant.org/article.php?sid=5

Nel settembre del 2000 si tenne un convegno Rekombinant: al centro dell’attenzione era il collasso della new economy, e la rottura di quell’alleanza tra capitale finanziario e lavoro cognitivo che aveva caratterizzato il decennio ’90. Quello che nel ventesimo secolo si era chiamato lotta di classe si presentava ora in una forma nuova, come lotta tra potenzialità dell’intelligenza collettiva e interessi dell’economia di profitto. Il capitalismo globale, uscito da una lunga fase di espansione si trovava nuovamente a dover affrontare i limiti della sua crescita: la scarsità delle energie non rinnovabili, la crisi dell’istituto della proprietà privata, sempre meno difendibile ideologicamente, e sempre meno necessaria socialmente dato che le tecnologie ricombinanti e il consumo di merci immateriali la rendevano superflua dal punto di vista evolutivo. L’intelligenza collettiva cominciava a organizzarsi in forma di movimento politico e di rete produttiva.

la società si andava trasformando secondo le tendenze del semiocapitale, di conseguenza la costruzione di una comunità semiotica coincideva con un processo di autorganizzazione sociale. La nostra era azione poetica, e al tempo stesso azione di ricombinazione tecnosociale. Sapevamo che nella sfera del linguaggio si giocava la stessa partita della produzione, del potere e della libertà.

Il capitalismo stava perdendo dovunque la sua presa sulla società, ma l’autonomia sociale non aveva più nulla a che fare con le lotte comuniste del secolo operaio. La rete del lavoro cognitivo era il nuovo attore e l’organizzazione del sapere era il nuovo campo di battaglia.
Ma nel frattempo le forze più retrive e ignoranti della società americana avevano portato alla presidenza un petroliere guerrafondaio. Le forze più egoiste e ottuse della società italiana portarono al governo una coalizione di fascisti razzisti e mafiosi. Si preparava una tempesta destinata a diffondere la peste della guerra per riportare le energie del sapere e della tecnologia sotto il dominio del capitale a cui stavano sfuggendo.

Nel primo anno di vita la lista partecipò alla discussione politica, culturale e teorica che si intrecciava con l’espansione del movimento che in quei mesi preparava la mobilitazione di massa contro il vertice della dittatura mondiale liberista.
La rete del lavoro cognitivo creava le premesse di una globalizzazione alternativa, fondata sul sapere e non sul profitto. Rekombinant concentrò l’attenzione sull’utorganizzazione del lavoro cognitivo, sulle potenzialità produttive della tecnologie di rete, sulla ricchezza affettiva e intellettuale che costituiva il patrimonio del movimento emergente. Si preparava il vertice G8 di Genova. Qualcuno in lista avvertì del pericolo: Genova può diventare una trappola. Qualcuno lanciò l’idea di evitarla, di concentrare folle in altri luoghi, a Riccione o a Piacenza, o nelle stazioni ferroviarie del nord. Poi fummo a Genvoa con i ribelli. Otto criminali si riunivano a Palazzo Ducale. Trecentomila in rappresentanza dell’umanità intera li circondavano. Quell’esperienza segnò una nuova generazione. La violenza ordinata da un fascista che stava asserragliato nei palazzi della Questura, l’assalto militare contro un centro stampa e contro una radio, la tortura in una caserma dei carabinieri, l’omicidio di un ragazzo. Genova annunciava l’inizio dell’epoca della guerra: un ceto di ferocia belluina per mantenere il potere alimenta l’odio, la violenza e la distruzione per imporsi alla società. In quell’estate infernale si compì il passaggio dall’epoca della globalizzazione all’epoca della guerra.

Il 9 e il 10 settembre del 2001 ci riunimmo in un secondo convegno. L’attenzione ricombinante si concentrava sulla prospettiva di devastazione militare e sulla rottamazione del general intellect http://www.rekombinant.org/article.php?sid=17. La sofferenza psichica, le patologie dell’immaginario cominciavano ad apparirci un argomento centrale. Non un oggetto marginale, ma il nodo centrale del campo sociale. Erano giorni carichi di tensione, era come se nell’aria si sentisse il prepararsi di un’esplosione. E l’esplosione arrivò. Da allora l’asse della riflessione, della discussione, dell’azione politica si è spostato. La psicopatologia dell’identità ha preso il posto della lotta sociale per una nuova razionalità produttiva. Nei giorni seguiti a Seattle si erano di nuovo create le condizioni per una battaglia pacifica tra modelli contrastanti di produzione e di sapere. Per costringere gli uomini e le donne a subire ancora una violenza inutile, il potere ha ripreso in mano gli antichi arnesi del fanatismo religioso, dell’idiozia etnica e nazionale. http://www.rekombinant.org/article.php?sid=1262

Richiamata in servizio dal ventre oscuro della storia del Novecento la bestia immonda si è rimessa in marcia. Porta la mezzaluna al posto del fascio, porta stelle e striscie al posto della svastica, ma ha sempre la stessa funzione: imporre la legge cieca dell’identità. “Difendere lo stile di vita occidentale” è lo slogano del nuovo totalitarismo. Difendere l’identità del provilegio contro il pericolo del divenire altro. La profezia della guerra infinita, pronunciata da un petroliere si è naturalmente realizzata. Militarismo high tech dell’Occidente e integralismo islamico assassino si rinforzano a vicenda mentre devastano la vita degli uomini e delle donne, distruggono le città, avvelenano le menti, diffondono il terrore.

Fin dall’estate 2000, (l’ultima stagione dell’epoca umana) la lista Rekombinant aveva intravisto due direttrici possibili all’orizzonte del nostro tempo: quella dell’autorganizzazione del sapere o quella della psicopatia suicidaria. Nell’estate 2001 la seconda prende il sopravvento sulla prima. Il sapere tecnico più raffinato è sottoposto al comando dell’aggressività psicotica e dell’interesse economico immediato.
A quel punto il suicidio emerge per la prima volta come arma strategica. Non solo come un’esclusiva islamica. Il suicidio diviene comportamento di massa anche in Occidente, perché la prima generazione videoelettronica percepisce il futuro come un abisso oscuro, e il presente come un deserto affettivo. Proliferano gli strumenti di comunicazione, ma non c’è molto da comunicare. Magari qualche volta, come accade in Giappone, il luogo e l’ora in cui morire insieme.

La guerra è dappertutto. Quel che non avremmo mai pensato possibile è diventato inevitabile, irreversibile.
Dio, il boia, è tornato tra noi. La ragione si è ri-addormentata. I mostri sguinzagliati invadono le strade.

Rekombinant era nata per portare un nuovo metodo nella politica dei movimenti di liberazione dal capitalismo. Ma i movimenti di liberazione sono costretti a un lungo purgatorio. Non c’è spazio per pensare alla liberazione quando vien meno la ragionevolezza e la sicurezza diviene l’unico discorso. Perciò lo spazio ricombinante ha cambiato tonalità negli ultimi tempi. Il tono è divenuto cupo, talvolta malinconico. La forma prevalente del discorso è quella dell’analisi, piuttosto che la forma poetica che avevamo trovato in un primo tempo per fare mondo con le parole, con i gesti semiotici.

Non era stata una scelta, perché una lista non sceglie (o almeno non sceglie come un individuo). C’è qualcosa di particolare nelle “scelte” che compie una lista. C’è qualcosa di simile al modo di operare di uno stormo di uccelli. Ciascun partecipante segue il suo percorso, scrive quello che gli pare in quel momento, ma c’è un tono comune, si segue una corrente. Chi non è trascinato da quella corrente presto se ne va. Non fu una scelta, fu piuttosto una comune vocazione. La vocazione comune a cercare il passaggio dalla dimensione virtuale (Internet, la connessione, il gioco di parole e di segni) alla dimensione desiderante. Questo funziona talvolta. Per poco, magari. E’ il gioco che sanno fare le parole, le allusioni, gli ammiccamenti. Ma non bastano i segni senza una sintonia con le correnti che muovono le folle, che cambiano l’umore delle genti, che aprono possibilità, che rendono visibili soluzioni sociali che non si vedevano prima.

La lista non ha smesso di crescere in questi cinque anni. Si tratta una piccola comunità: poco più di mille persone sparse qua e là nei cinque continenti con una vocazione in comune: quella di costruire un percorso verso il possibile attraverso la ricombinazione dei segni del sapere, dell’immaginario, e della psicosfera.
Talvolta sopravviene lo scoramento, la sensazione che non serve a niente perseguire un disegno di razionalità e di desiderio dal momento che il discorso pubblico è dominato dalla violenza e dalla legge del più forte, dalla difesa arrogante di un modo di vita canagliesco.
Per il futuro prevedibile non è in vista un mutamento dello scenario, e allora ci si potrebbe chiedere: perché continuare un percorso comune fondato su una prospettiva di liberazione oggi che ogni prospettiva di liberazione appare del tutto cancellata?
La risposta la conosciamo: continuiamo a tessere parole prima di tutto per mantenere viva l’intelligenza del processo e in secondo luogo perch non scompaiano spazi di autonomia discorsiva, immaginaria, poetica, esistenziale. Autonomia dall’intollerabile.
Costi quello che costi non rinunceremo a capire, a cercare un senso laddove sembra non esservene alcuno, a creare parole e costruire concetti. Perché le parole permettono talvolta di rendere visibile ciò che fino a un momento prima non si vedeva.
Costi quello che costi non rinunceremo a mantenere in vita spazi di parola, spazi di desiderio intelligente, spazi di ironia, spazi di ammiccamento fra persone umane.