Franco Berardi ( Bifo)

Narciso terrorista

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7 luglio del 2005. Quel che è accaduto nella metropolitana londinese è diverso per qualità da quello che accadde a New York in quel fatidico giorno di settembre in cui la storia ha cambiato direzione.
L’attacco alle towers fu un gesto unico, irripetibile, un’azione che richiese grande competenza tecnica e impegno finanziario. Ha innescato il processo, ha costruito l’archetipo del terrorista suicida, ma non era replicabile.. Quello che è accaduto a Londra il 7 luglio 2005 ha un altro retroterra: un gruppo di ragazzi della seconda generazione immigrata, cittadini di un paese occidentale che hanno assorbito l’immaginario e le illusioni dell’occidente matura la decisione di trasformarsi in un gruppo di bombe umane. Come possiamo spiegarlo?In un libro del 1999 intitolato “Cosa sognano i lupi”, (Feltrinelli, 2001) Yasmina Khadra (pseudonimo di un ex ufficiale dell’esercito algerino che ha abbandonato l’esercito per la letteratura) ci racconta la formazione di un terrorista. La storia si svolge nell’Algeri del 1994, quando cominciò l’ondata di follia assassina che ha insanguinato il paese per il resto del decennio. Dominato dall’oligarchia cinica e feroce che prospera all’ombra del FNL, il paese fu scosso da un’ondata islamista sanguinosa, alimentata dai reduci della guerra afghana. In quel contesto il giovane Nafa Walid sogna di fare l’attore, ma essendo nato nella Casbah da una famiglia povera, non ha nessuna possibilità di realizzare la sua ambizione. Come infiniti altri suoi coetanei in tutto il mondo è cresciuto nella sfera immaginaria globalizzata: le sue immaginazioni e aspirazioni sono alimentate dalla macchina dello spettacolo, della pubblicità, dell’illusione consumista. Falliti i suoi tentativi di trovare la strada del successo cinematografico, deve rassegnarsi ad accettare un lavoro di autista. Va a servizio di una famiglia dell’oligarchia, e dopo aver subito le più cocenti umiliazioni, esce sconvolto da un’esperienza di estrema violenza, e abbandona il lavoro. Entra in una crisi profondissima, e al culmine della sofferenza incontra, come per incanto, la comunità islamista. Scopre dio, come fosse una benzodiazepina di grande efficacia. Diviene completamente dipendente dal suo tranquillante-euforizzante, e di passaggio in passaggio si ritrova a sgozzare donne e bambini dei villaggi che non si piegano all’integralismo.
Ma non è della situazione algerina che voglio parlare qui. Quello che mi interessa è capire qualcosa della formazione di una generazione terrorista. Nella interpretazione prevalente dell’ondata terroristica è completamente trascurato un aspetto essenziale di questo fenomeno: il suicidio. Si calcola che le bombe umane esplose negli ultimi cinque anni abbiano superato il numero di mille. Probabilmente siamo solo all’inizio. Non è Al Qaida con i suoi potenti mezzi il pericolo che si staglia all’orizzonte, ma una generazione di narcisi umiliati che mettono in scena un suicidio di massa nella forma più spettacolare, provocando terrore, distruggendo la vita degli altri, l’ambiente urbano, la fiducia di ogni uomo verso ogni altro.

il narciso umiliato e il suicidio esplosivo.

La sproporzione tra ricchezza della classe al potere e povertà di masse sterminate non è un fenomeno nuovo. Ma nel nostro tempo sta diventando adulta una generazione che ha imparato dai media globali a vedere, desiderare, volere quella vita che i media promettono, e quei consumi che la pubblicità impone come indispensabili. La prima generazione videoelettronica misura la propria esistenza sulla base dei criteri omologati del narcisismo di massa. La dissoluzione della comunità tradizionale spinge milioni di giovani a cercare riconoscimento in una comunità immaginaria, proprio nel momento in cui le promesse espansive del capitalismo si stanno afflosciando in tutto l’occidente sta crescendo una generazione destinata ad ottenere nella vita meno di quello che hanno avuto i genitori. Meno opportunità di lavoro stabile, meno possibilità di arricchimento, meno consumi, ma soprattutto meno piacere, meno comunità, meno conferme, meno affetto. Il narciso mediatico scopre molto presto di dover pagare la propria corsa competitiva con una sorta di atrofia emotiva.

Questo fenomeno riguarda l’intera popolazione giovanile della prima generazione videoelettronica in occidente. Gli immigrati che hanno cercato (e in qualche ristretta misura nel passato sono riusciti ad ottenere) una integrazione culturale che ripagasse il desiderio investito nella competizione economica, ora si trovano di fronte all’abisso della deindustrializzazione, della disoccupazione, del precariato che costringe ad una competizione continua. Sono i primi che cedono, che non reggono. L’islamismo integralista è la più facile e immediata identificazione aggressiva a portata di mano, per milioni di giovani islamici.
Ma non dobbiamo pensare che il desiderio suicidia del narciso umiliato riguardi unicamente i giovani islamici, o gli immigrati. Riguarda l’intera popolazione giovanile precarizzata. Il suicidio è già la prima causa di morte nella popolazione giovanile occidentale. Viene prima delle morti per incidente automobilistico. E si sa bene che in molti casi la morte dovuta a incidente d’auto nasconde un’intenzione suicida.

L’11 luglio 2005 un ragazzo di 26 anni, di nome Ciro Eugenio Milani, si uccide in una città del Nord Italia: va su un ponte, sale su una sedia pieghevole, scavalca il parapetto alto un metro e 60 e si getta nel fiume Adda. Da cento giorni aveva avviato un blog che comincia con queste parole:
«Questo è il diario pubblico di un aspirante suicida. Ormai le idee le ho chiare, so cosa farò e so quando lo farò… Sentitevi liberi di commentare quello che scrivo… Questo blog non è un’istigazione al suicidio. Non chiedo né consiglio a nessuno di seguire la mia scelta»
Eugenio Milani era un programmatore e nel ’98 si era iscritto all’Ordine dei pubblicisti.
La lettura del suo blog, dei messaggi con i quali ha preparato il suo gesto, dei commenti che lo hanno accompagnato, è una lettura che fa venire i brividi. Non per la sua drammaticità, ma per la sua piatta (vorrei quasi dir serena) banalità. Il bisogno narcisistico di mettere in scena qualcosa di eccezionale, si accompagna a un profondo vuoto motivazionale.
Non voglio dire che questo ragazzo avrebbe potuto divenire un terrorista, ma solo che la qualità esistenziale e psichica della sua scelta contiene gli stessi elementi di narcisismo e di umiliazione che portano altri ragazzi al terrorismo.

Nel sito http://www.disappearedinamerica.org/ compare un articolo dal titolo “Then they came for the children” nel quale si parla del caso di Adema Bah e Tahuna Hyder, due ragazze (una di di origine bengalese l’altro di origine africana) che sono state arrestate negli Stati Uniti perché in un tema svolto in classe avevano manifestato propositi suicidi, e questo faceva di loro delle potenziali suicide bombers.
Fondandosi soltanto su un tema gli agenti dellFBI dicono che le ragazze sono una minaccia imminente alla sicurezza degli Stati Uniti, anche se ammettono di non aver nessun elemento che confermi la loro supposizione.

L’azione compiuta a Londra il 7 luglio segnala che il problema non è affatto quello di uno scontro di civiltà, come blaterano i fanatici. Certamente, la guerra religiosa è un aspetto importante di quello che sta accadendo, ma il nucleo profondo del fenomeno di cui stiamo vedendo le prime manifestazioni ha un carattere sociale e psicopatico. Sociale come è sociale l’immiserimento, lo sfruttamento, la precarizzazione l’emarginazione. Psicopatico come la reazione estrema ed autodistruttiva ad un sentimento di umiliazione che ha insieme cause social politiche e culturali.
La replica del 21 luglio, non importa se fosse intenzionalmente dimostrativo o se sia fallito lo scopo assassino) ha in ogni caso un effetto agghiacciante: essa infatti vuol dire una cosa soltanto. Il Narciso umiliato che si trasforma in terrorista è imprevedibile, irreperibile, inarrestabile, potenzialmente ubiquo.
Se il Narciso umiliato si diffonderà nelle città del mondo, come appare probabile, rischia di mettersi in moto una catena di violenze barbariche: pogrom antiislamici seguiranno alle azioni di terrore, e azioni di terrore seguiranno ai pogrom in una spirale senza uscita.

Rafforzare la sicurezza non serve assolutamente a niente, di fronte a questo pericolo. L’esibizione di mezzi raffinatissimi e potenti di repressione assomiglia a un rituale inutile e superstizioso.
Quel che serve è l’elaborazione collettiva del collasso provocato dalla cultura competitiva, quel che serve è un rilassamento dell’intera muscolatura sociale, che è entrata in una fase spasmodica.
Ridurre la pressione competitiva che genera narcisismo di massa e ne prepara al tempo stesso la frustrazione. Ridurre lo stress economico quotidiano, ricostruire lo spazio dell’amicizia pubblica, della solidarieta sociale.